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Chiusura visita pastorale alla Diocesi, Vescovo Bresciani: “Ho predicato poco, ho ascoltato e dialogato molto, un po’ con tutti”

DIOCESI – Ieri, mercoledì 11 gennaio, in Cattedrale si è tenuta alle ore 19.30 una solenne celebrazione Eucaristica per ringraziare il Signore sia per la visita pastorale appena conclusa e sia per l’anniversario dell’ordinazione episcopale del Vescovo Carlo Bresciani.

Il Vescovo Bresciani durante l’omelia ha affermato: “Chiudo con questa solenne concelebrazione insieme ai sacerdoti della diocesi la visita pastorale alla nostra amata Diocesi. Ho desiderato tanto questa concelebrazione, perché sento forte il bisogno e il dovere di dire grazie a Dio e a tutti voi per la sua felice riuscita.

Ora vi ringrazio di essere qui con me a ringraziare Dio.
La visita pastorale mi ha permesso di volgere uno sguardo più approfondito alla realtà diocesana, sia nei suoi aspetti ecclesiali, sia in quelli civici, educativi e socio-economici. Ho incontrato, forse, gli aspetti più belli, è vero, ma ho potuto constatare che sono tanti. Ho incontrato una Chiesa viva ed è stata una esperienza meravigliosa. Dobbiamo avere gli occhi attenti e animati dalla fede per vedere ciò che Dio va costruendo tra di noi, ciò che egli ci sta chiedendo dentro realtà e situazioni a volte tutt’altro che facili, situazioni che ci colpiscono più per quello che ci pare non andare bene, o comunque non come noi vorremmo, più che per quello che di positivo contengono e in esse sta crescendo. Dio irriga il campo della Chiesa goccia a goccia, non con l’irruenza dell’alluvione che, più che irrigare e far germogliare la terra, spazza via quello che c’è. Dio passa nella brezza leggera e non nel tuono (cfr 1Re 19, 12). Dobbiamo sempre di nuovo imparare dalla pazienza del contadino che, dopo aver seminato, sa attendere il frutto e sa che non tutto dipende da lui. Dobbiamo sempre di nuovo imparare dalla pazienza di Dio a seminare senza pretendere di decidere dei frutti.
Ho predicato poco, ho ascoltato e dialogato molto, un po’ con tutti. È stato più un andare incontro alla gente, anziché aspettarla in chiesa: anche in questo senso è stata visita pastorale. È stato un condividere i luoghi e le strade in cui si consumano le fatiche dell’uomo d’oggi, in cui egli vive le sue preoccupazioni e le sue consolazioni, in cui vive la quotidianità della fede.
Un pensiero grato va questa sera ai tanti malati che ho potuto incontrare: sono molto grato a loro per le testimonianze di fede vissuta che con grande semplicità hanno condiviso, ringraziando Dio, pur nella loro malattia, per gli aiuti e le grazie che da lui sentono di ricevere ogni giorno e che li aiuta a vivere il peso, i dolori, la solitudine e le sofferenze della malattia. Mi ha edificato molto constatare come la loro fiducia in Dio sorpassi di gran lunga qualsiasi lamentazione, fino a farla sparire completamente. Quanta diversità con chi invece sta bene di salute! Quanta forza dà loro la fede. Li ritengo un tesoro prezioso della nostra Chiesa. Spesso avevano la corona del rosario in mano. Spesso mi hanno detto di pregare per la Chiesa e per i sacerdoti: ne sono loro molto grato.
Posso dire che la visita pastorale mi ha aiutato a comprendere e amare di più non solo la bellezza, ma anche la povertà della nostra Chiesa. È una Chiesa che sente tutte le difficoltà del cammino dentro la storia che ci è data da vivere, un cammino che a volte vorremmo più spedito, più fiducioso dell’opera che in esso Dio va compiendo, un cammino che vorremmo meno faticoso, ma è un cammino nel quale è possibile scorgere la mano di Dio che agisce con la sua grazia anche là dove l’opera dell’uomo è troppo stanca, debole e fragile; là dove sembra troppo debole la presenza della Chiesa, cioè la nostra personale presenza di credenti. Il cammino della Chiesa ha continuo bisogno di essere alimentato da una rinnovata fede in Lui e dalla generosa dedizione di tutti noi: preti, diaconi, religiosi e laici.
Anche la nostra è una Chiesa piagata dalla nostra umanità, perché fatta da noi esseri umani con tutte le nostre debolezze. È Chiesa corpo di Cristo risorto, ma che continua ad avere in sé i segni della passione. Da risorto continua a chinarsi su di lei, come sulla suocera di Pietro e sui malati di cui ci ha parlato il Vangelo (Mc, 1, 29-39), e se ne prende amorevole cura. Essa ha bisogno però anche della nostra passione, dedizione e di tanta cura. Solo se si ama veramente ce se ne prende cura. È una Chiesa che ha bisogno di essere amata anche, e forse soprattutto, per le sue piaghe che sono quelle che noi, uomini e donne dalla fede fragile, troppo chiusi nei nostri egoismi, nelle nostre insensibilità e nelle nostre comodità, le infliggiamo, forse troppo spesso servendoci della Chiesa, più che servire la Chiesa. Ma è meraviglioso e confortante constatare che Dio non si lascia fermare da tutto questo, non si lascia fermare dalle nostre colpevoli inadempienze, ma continua a far germogliare anche una terra che ad occhio umano potrebbe sembrare arida.
Ho incontrato esempi e testimonianze di fede veramente edificanti, ma anche fatiche e comunità in affanno per povertà di mezzi, mancanza di sacerdoti e prove di vario genere. Comunità che hanno bisogno di essere rinfrancate e confortate nella loro fede semplice e senza fronzoli, ricche a volte di tradizioni che hanno bisogno di essere irrorate e rimotivate da nuova linfa vitale che può essere attinta solo da un rapporto più profondo con Gesù. Comunità che attendono la nostra testimonianza credente.
Scriveva il card. J. Ratzinger nel suo libro Introduzione al cristianesimo: “Chi davvero crede, sa che si marcia sempre ‘in avanti’ […] Esiste ed è già in atto la redenzione del mondo: ecco la ferma fiducia che sostiene il cristiano, galvanizzandolo con la convinzione che val davvero la pena anche oggi essere cristiani” (pp. 297-298). È vero, spesso me lo sono detto mentre visitavo le varie realtà delle parrocchie che mi venivano mostrate: dobbiamo e possiamo marciare ‘in avanti’, superando inutili nostalgie del passato. Non possiamo pensare che Dio sia soltanto dietro di noi: dobbiamo guardare avanti con fiducia, mettendo tutto il nostro impegno e anche la nostra fatica per un rinnovato sì al Signore che ci chiama ad essere Chiesa e a farla crescere nel nostro territorio.
Certamente c’è bisogno di continuare e approfondire con decisione la promozione della corresponsabilità tra sacerdoti e fedeli laici. Ci ha detto la prima lettura che “abbiamo in comune [con Gesù] il sangue e la carne” (Ebr 2, 14). Abbiamo tutti lo stesso Spirito ricevuto nel Battesimo. Non si tratta, quindi, di scaricare responsabilità, ma di aiutare sempre più i fedeli a prendere coscienza piena della loro dignità di figli di Dio e di essere insieme parte vitale della Chiesa, di essere tutti insieme un solo corpo in Cristo. Resta qui certamente molta strada da fare, sia per noi sacerdoti, sia per i fedeli laici. E’, tuttavia, il cammino di Chiesa che attende sacerdoti e fedeli e sul quale Dio ci sta guidando, dandoci segni non equivoci che questo è il cammino che ci attende, cammino che potrà portare al vero rinnovamento della Chiesa. Si tratta di un cammino necessario che richiede anche una sempre più decisa collaborazione pastorale tra le parrocchie (soprattutto quelle tra loro vicine) approfondendo così il senso di appartenenza all’unica Chiesa diocesana. Tutto ciò esige un cambio di mentalità, una conversione pastorale, sia da parte di noi sacerdoti, sia da parte dei fedeli laici.
Occorre che come Chiesa ci interroghiamo seriamente su cosa sta avvenendo con i sacramenti, su come sono compresi e su come vengono ricevuti e vissuti. Non possiamo nasconderci che qui c’è una fatica grande e una indubbia debolezza della nostra Chiesa attuale: l’esteriorità celebrativa, cui alcune volte anche noi sacerdoti indulgiamo, rischia sempre più di coprire e far sparire totalmente l’interiorità dell’incontro con Cristo che i sacramenti comportano, incontro che solo può introdurre nella vita nuova del cristiano, che non può che essere vissuta in comunione con la Chiesa, corpo di Cristo. Così come sono vissuti, difficilmente costruiscono il corpo di Cristo che è la Chiesa, ma solo, al meglio, una fede individualistica e molto fai-da-te.
Abbiamo bisogno di cammini di introduzione alla fede, più che di cammini di sola preparazione ai sacramenti e abbiamo bisogno di accompagnatori in questi cammini di introduzione alla fede. La mancanza troppo spesso della famiglia fa sentire tutto il suo peso. Bisognerà pensarci seriamente e cercare strade per affrontare queste urgenti esigenze pastorali e dovremo cercarle insieme, presbiteri e fedeli laici. Il futuro della nostra Chiesa dipenderà certamente, e forse in modo determinante, da questo.
Carissimi sacerdoti e fedeli, non scoraggiamoci, il cammino è certamente lungo, non necessariamente facile e non privo di asperità, ma noi non confidiamo solo nelle nostre forze che pure non rifiutiamo di mettere in campo. Se lo faremo insieme, stimolati anche dal cammino sinodale che la Chiesa italiana ci sta proponendo, aiutati validamente dalla nostra equipe diocesana- che ringrazio per il prezioso lavoro che sta facendo-, sarà meno faticoso. La nostra speranza è in quel Dio che muove i nostri cuori e le nostre mani e sa trasformare anche il deserto in un campo fiorito, ma chiede sempre la nostra attiva collaborazione e la pronta e generosa risposta della nostra responsabile libertà.
Io, questa sera, rendo grazie a Dio, e lo faccio volentieri e con piena convinzione, per la nostra Chiesa diocesana: pur nella sua povertà è presenza vera e viva di Cristo tra noi, è luce di speranza dentro le tante contraddizioni della nostra storia. È Chiesa che ha ancora un cuore vivo che batte animato da un amore mai spento per Gesù e ha ancora sangue ricco dell’ossigeno dello Spirito capace di ridare vita anche a membra un po’ stanche e affaticate.
“Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (Mt 11, 28). Accogliamo questo invito di Gesù, e troveremo in lui nuove energie e sicuro conforto per il cammino di Chiesa che ci attende. Sappiamo, e ne siamo certi, che lui è davanti a noi e ci guida nel cammino”.

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