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DIOCESI – Abbiamo affidato al direttore Pietro Pompei, amico di lunga data, il ricordo del Vescovo Gervasio Gestori.
Pochi sanno che l’amicizia tra il Direttore Pompei e il Vescovo è nata prima della nomina di Mons. Gestori alla sede della diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto.

Il Vescovo emerito aveva infatti presieduto in una Chiesa di Roma alla celebrazione delle nozze del figlio del Direttore Pompei e da lì è nata un’amicizia che è durata fino ad oggi. Lasciamo ora spazio al ricordo del prof. Pompei:

Ho cercato tra pagine ingiallite, una parola, una frase per esprimere tutti i sentimenti che si agitano ancora in me alla notizia della morte del nostro amato Vescovo Emerito Mons. Gervasio Gestori. Fatica vana, l’unica coincidenza rimane la morte, con quella parte di te stesso che si porta nella tomba. Ed allora mi sono attaccato al passato che riemerge man mano che l’ultimo treno di Mons. Gervasio si allontana, momento per momento. I ricordi si fanno avanti a cercare luoghi e situazioni di un vissuto, con il rammarico di occasioni perdute, per un tempo mai disponibile per stare insieme.
Una volta ebbi a scrivere:” Il filosofo Kant nella prima conoscenza, pensò bene di ridurre tutto alla categoria “tempo”, presago che prima o poi , nel consumo generale, anche questo sarebbe venuto a mancare. E’ tutto un frenetico andare, tanto più se si hanno particolari e specifiche responsabilità. E di tempo al nostro Vescovo ne rimaneva ben poco, per poter rispondere alle tante richieste di una sua presenza. E facendo una retrospettiva, possiamo ben dire che Mons. Gestori, non si è risparmiato, consapevole che l’Evangelizzazione non si esaurisce nelle pur necessarie manifestazioni liturgiche o nell’ordinamento canonico, ma passa anche nell’accoglienza, nell’aiuto nascosto, in un buon consiglio, in un atto di carità.
Mi chiedevo , talvolta, come poteva riuscire a conciliare un calendario impostato sui minuti. Forse in questo c’era tutto il carattere milanese, ma nel rapporto con i fedeli, vinceva la bontà del “pastore” che desidera conoscere le sue “pecorelle” ad una ad una. Ed è sbalorditivo come riuscisse a riconoscere, specialmente i giovani, chiamandoli per nome, segno di una predilezione pastorale che veniva ricambiata nei consueti incontri mensili, sempre così partecipati”.

Con l’emozione che mi annebbia le lettere della tastiera cerco una definizione in cui sintetizzare il suo carisma. Lo trovo in un suo libro di alcuni anni fa che così titolava :”Cuore a Cuore”.
E’ il linguaggio che ha preceduto sempre gli altri in qualsiasi situazione si venisse a trovare. In tutti gli anni del suo episcopato con la discrezione che lo ha sempre distinto, il Vescovo Gestori si è adoperato in ogni occasione per far maturare nella nostra giovane Istituzione, la consapevolezza del significato e del valore della Diocesi, ancora così poco sentita tra la nostra gente, non soltanto come mero fatto storico e giuridico, quanto come Comunità che cammina, unita sotto la guida del suo Vescovo, successore degli Apostoli, per vivere e trasmettere la Verità rivelata. Ed ha voluto aggiungere anche segni esterni, chiedendo per la nostra Cattedrale il titolo di Basilica Minore, dopo un’adeguata ristrutturazione ed anche interventi delle Autorità Civili per dare prestigio alle manifestazioni e luoghi di culto.
Ad un esame di coscienza, che dovrebbe essere prassi nella vita del cristiano, dobbiamo ammettere che non sempre abbiamo ricambiato positivamente tanta sollecitudine.

Si ha l’impressione che permanga in mezzo a noi quel senso di sufficienza sessantottina nei confronti dell’Autorità e talvolta viene nascosta nel sottoscala della nostra ascesi, la virtù dell’umiltà. Desideriamo più dire che ascoltare; è il peccato del nostro tempo, e lo Spirito passa oltre, quando non trova “i miti e gli umili di cuore”.
Il carissimo Vescovo Gervasio è tornato alla casa del Padre nel giorno dell’Epifania di nostro Signore, a conclusione delle feste natalizie delle quali anni fa così scrisse negli Auguri ai suoi Diocesani
“Dalla fede nel Natale nasce la bellezza e la gioia della vita, comunque essa sia, mentre dalla non accettazione dell’evento di Betlemme derivano la bruttezza del vivere, la mancanza di senso del soffrire, l’impossibilità di sperare. Dio è nato da Maria e si è fatto uomo per aiutarci a vivere, per donarci la gioia della vita, per farci cogliere la bellezza di ogni istante dell’esistenza.
Il Natale di Gesù è cosa stupenda per noi, per ciascuno di noi, per la nostra vita. E quindi giustamente vogliamo festeggiare “alla grande” questa ricorrenza.
Se anche mancheranno alcuni gesti esteriori e siamo poveri di cose, quello che conta è la felicità del cuore, è la gioia dell’anima credente, che finalmente può affermare con certezza: il Signore ha pensato a me, ai miei problemi, alle mia debolezze, alle mie incapacità, ai miei peccati, e si è fatto uomo per me, per aiutarmi a fare pace con la mia vita ed ad accogliere tutti i miei giorni con simpatia e con amore. Così intesa la festa di Natale diventa una ricorrenza umanissima, un bisogno fondamentale, una realtà per la gioia della nostra esistenza, la risposta alle esigenze della vita.

Senza Natale non saremmo capaci di vivere bene, da persone libere e nuove. E’ quindi una fortuna anche materiale poter accogliere questa festa nella sua enorme ricchezza religiosa e in tutta la sua portata umana.

Guai quindi a ridurre il Natale ad una parentesi, ad una festa come tante altre, ad una ricorrenza anche solo vagamente religiosa. Essa è un evento che tocca la nostra vita personale e le dona significato, coraggio, gioia”.
Non possiamo, noi di questo giornale, non ricordare l’interesse del Vescovo Gervasio sempre dimostrato per il nostro settimanale “l’Ancora” cartacea e online”. Era solito dire: “ Certamente la fede è dono di Dio, che si nutre della sua Parola ed invita alla preghiera. Certamente la fede fa da fondamento alla speranza, perché sia certa e non soltanto una facile parola ed una comoda utopia. Certamente la fede per non essere morta deve spronare i credenti ad operare nella carità e nelle più diverse dimensioni della vita sociale. Ma proprio questo bisogno di realtà della fede e questa sua concretezza operativa richiedono il confronto con la vita quotidiana e la conoscenza del territorio nel quale esistiamo.

Questo realismo domanda una conoscenza oggettiva delle situazioni e non deve lasciarsi condizionare dalle letture ideologiche dei problemi, anche per non affrontare fatiche inutili e per non impegnarsi in scelte fuorvianti”.
E Noi siamo qui per ringraziarla, Eccellenza carissima, chiedendoLe , come sempre la Sua benedizione, specialmente ora che vive con Gesù.
E Noi non la dimenticheremo nelle nostre preghiere, consapevoli, come scrive Dante nella Divina Commedia.”ché qui per quei di là molto s’avanza”.

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