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Tradizioni di Natale tra campagna, mare e paese

Sono tanti i riti legati al solstizio d’inverno, cioè al giorno più corto dell’anno, fin dall’epoca precristiana, che poi la nuova religione ha dovuto mutuare. Tanti i Santi legati al fuoco, cioè alla luce, come Santa Barbara ( 4 dicembre) patrona dei fuochi, Santa Lucia ( 13 dicembre , il nome deriverebbe da “luce), San Niccolò (6 dicembre, Nicola di Bari), ossia Santa Claus, il nostro “Babbo Natale” ..Santi cristiani che avevano avuto in vita a che fare per un motivo o per un altro, col fuoco e con la luce, che andarono a sostituire  divinità atte a scongiurare l’oscurità dell’inverno e favorire il ritorno della bella stagione.

In campagna come in uno specchio della volta stellata, erano tanti i fuochi accesi ed i falò. Sulla costa la tradizione delle fochere o dei focarò o focaracci vigeva sulla spiaggia il 10 dicembre con la “Venuta” della Madonna di Loreto , che secondo tradizione arrivava sulla sua casetta in volo sull’Adriatico sorretta dagli angeli. I bambini con i nasini gelati rivolti all’insù e le spalle infuocate dal calore dei falò attendevano di scorgere un “segno” nel Cielo trapuntato di stelle.

Le nonne friggevano in improvvisati fornelli sulla spiaggia “li frittejjette”, cioè verdure invernali pastellate e fritte insaporite con alici di magro come in un grande rito collettivo.

Il tutto culminava nell’ “Attesa” dell’Avvento della nascita di Gesù nel Presepe.

Anticamente non c’era la tradizione dell’albero, ma solo quella del Presepe. Anche in povertà non c’era casa dove non fosse il presepe. Si collocava nei paesi dell’hinterland piceno, davanti al caminetto, per terra. Le statuette erano piccoline, soffocate dal muschio vaporoso raccolto con cura dai ragazzi più grandi e bambini in campagna vicino ai ruscelli. Non mancava la statuetta del pastorello dormiente, quello addormentato non si sa perché, ignaro di quanto stava accadendo in quel di Betlemme, grande e muto simbolo del Silenzio e dell’umanità dormiente nell’attesa del Redentore.

Tra i regali antichi vi erano le noci, gli “zuccherini” (zollette di zucchero), i mandarini, una trottola in legno con lo spago, una sciarpa, per le bambine un piccolo scialle, a volte se c’era benessere economico, addirittura le scarpe nuove, un bastoncino di liquirizia, una trombetta di latta, un soldatino, caramelle o confettini alla cannella. Ciò che era importante era il senso dell’attesa, lo stare insieme, la tombolata fatta con i fagioli a coprire le caselline dei numeri, la campana della messa di mezzanotte e il freddo della notte in contrasto con il calore umano dentro casa.

L’attesa del Natale era un punto di incontro tra generazioni, vissuto con semplicità ma con banchetti rituali fatti si di poveri ingredienti, ma con tanta tradizione, manualità e soprattutto Amore.

Il marinaio tornato a terra, avvolto nel suo giaccone blu, sciarpa e cappello, con la pipa in bocca  e la barba, faceva il giro nel paese, quasi a voler toccare la terraferma per ricordarsi di farne parte, almeno a Natale. Almeno in quella notte dell’Attesa. Nel presepe il Bambinello veniva svelato- prima era coperto da un fazzolettino ricamato “Perché non è ancora nato” dicevano le nonne ai nipotini che increduli, lo vedevano invece già presente nella mangiatoia, insieme alle altre statuine, seppur celato. Alle volte, se il Bambinello era separato dalla culla-mangiatoia, veniva nascosto e appariva effettivamente, solo dopo la messa di mezzanotte.

Tradizioni semplici di un tempo, fatte di odori e di ricordi: di fumo che fuoriusciva dai comignoli, quando in ogni cucina vi era un camino, fatto di notte fredda ma di cuore acceso.

Susanna Faviani: Giornalista pubblicista dal '98 , ha scritto sul Corriere Adriatico per 10 anni, su l'Osservatore Romano , organo di stampa della Santa Sede per 5 anni e dal 2008 ad oggi scrive su L'Avvenire, quotidiano della CEI. E' Docente di Arte nella scuola secondaria di primo grado di Grottammare.