(Foto: Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

“Quell’estremo gesto di sfida contro un eroe del nostro tempo, un Carabiniere protagonista della difesa della democrazia contro il terrorismo, si ritorse contro chi lo aveva voluto. La comunità nazionale, profondamente colpita da quegli avvenimenti, seppe reagire dando prova di compattezza e di unità d’intenti contro i nemici della legalità, delle istituzioni, della convivenza civile”.

Lo afferma il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ricordando il gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa in occasione del 40° anniversario dell’uccisione avvenuta a Palermo per mano mafiosa. Per l’agguato del 3 settembre 1982 morirono anche la signora Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo. Morti brutali che “gettarono Palermo, la Sicilia, il Paese intero nello sgomento. Ancora una volta la ferocia della violenza criminale mafiosa, in un crescendo di arroganza, non risparmiava un servitore della Repubblica né le persone che avevano l’unica colpa di essergli vicine”.
Ma dopo quanto accaduto – nota il Capo dello Stato – “strumenti più incisivi di azione e di coordinamento vennero messi in campo, facendo tesoro delle esperienze di Dalla Chiesa, rendendo più efficace la strategia di contrasto alle organizzazioni mafiose. Quello sforzo fu sostenuto e accompagnato da un crescente sentimento civico di rigetto e insofferenza verso la mafia, che pretendeva di amministrare indisturbata i suoi traffici, seminando morte e intimidazione. Commozione e sdegno alimentarono le speranze dei siciliani onesti, ne rafforzarono il rifiuto della prepotenza criminale”.
Per Mattarella, “la lezione di vita del prefetto Dalla Chiesa, la memoria delle vittime di quel vile attentato vivono nell’impegno delle donne e degli uomini che nelle istituzioni e nella pubblica amministrazione operano per la difesa della legalità, dei giovani che vogliono costruire una società più giusta e trasparente, dei tanti cittadini che, consapevoli dei loro diritti e doveri, avversano responsabilmente la cultura della sopraffazione e della prevaricazione”.

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