di Irene Argentiero

Il cristiano non è fatto per vivere in un frammento della realtà, ma per aprire la propria vita agli altri. I cristiani devono affrontare le sfide della storia con la pienezza dell’amore, la fecondità della croce e lo spirito delle Beatitudini, vivendo la fede senza complessi o travestimenti, nell’ascolto e nel dialogo, nella normalità della vita orientata a Dio, superando tanta indifferenza. Facciamo entrare in noi la luce che viene dall’alto e creiamo punti luminosi di vita nuova”. Lo ha detto il 25 luglio scorso mons. Juliàn Barrio Barrio, arcivescovo di Santiago, durante la messa solenne in occasione della festa di San Giacomo, alla presenza del re di Spagna Felipe VI e della famiglia reale. Ad accompagnare la celebrazione nell’Anno santo iacobeo – prolungato eccezionalmente di un anno a causa delle restrizioni imposte nel 2021 dal Covid – sono state le note della “Misa en honor del Apòstol Santiago” composta su commissione del Capitolo della cattedrale da mons. Marco Frisina, che ha diretto il coro Orfeòn Terra A Nosa e la Schola Cantorum della cattedrale.

 

Oltre duecentomila i pellegrini che, dall’inizio di gennaio ad oggi, sono arrivati a Santiago, in quello che è stato definito “l’anno della rinascita”. Tra questi c’è anche chi scrive.

Non è ancora sorto il sole quando lasciamo l’aeroporto di Venezia. Destinazione Oviedo, con scalo a Madrid. Tutto è stato preparato da tempo, anche se – come di consueto – la valigia la si mette insieme sempre all’ultimo minuto. Per anni ho ascoltato i racconti di chi, zaino in spalla, si è messo in cammino alla volta di Santiago, coltivando nel cuore il desiderio di mettermi anch’io in cammino. Ma non c’è mai stata l’occasione. Fino a quest’anno. L’Ufficio pellegrinaggi della diocesi di Bolzano-Bressanone organizza ogni anno un pellegrinaggio a piedi a Santiago. Nove giorni durante i quali, di anno in anno, si percorre un tratto di uno dei cammini che portano a Santiago de Compostela. Quest’anno è la volta del cammino del nord. Si viaggia in gruppo, ma ognuno con il suo passo. Quando decido di iscrivermi scopro di essere (insieme ad altri) in lista d’attesa. I posti a disposizione sono letteralmente andati a ruba. E così, quella partenza, sognata da anni, resta in forse per diverse settimane. Poi un giorno la situazione si sblocca. E da quel momento in poi ogni cosa inizia a concatenarsi perfettamente con le altre, come accade quando si fa un puzzle e, dopo tanti tentativi, i pezzi iniziano ad incastrarsi uno dopo l’altro. Nelle grandi, così come nelle piccole cose.

Il programma prevede oltre 150 km a piedi, dal 27 giugno al 3 luglio e, il giorno successivo, visita a Finisterre. Il cammino verso Santiago inizia però già diverse settimane prima della partenza. Perché è necessario avere gambe allenate per affrontare le varie tappe. A salire sull’aereo che ci porterà in Spagna siamo in 40, persone di tutte le età (il più “grande” ha 78 anni), provenienti un po’ da tutto l’Alto Adige. Sorvoliamo la penisola iberica, ma non la vediamo. Una spessa e soffice coltre di nuvole bianche ci impedisce di vedere il paesaggio sotto di noi, ma al tempo stesso ci mostra quanto straordinariamente blu possa essere il cielo. Quando, dopo lo scalo a Madrid, usciamo dalle nuvole e atterriamo all’aeroporto di Oviedo, sembra di arrivare in un mondo nuovo. Quasi fosse una pagina bianca dove scrivere un nuovo capitolo. Non tanto con pc e stampante o i più tradizionali penna e inchiostro, ma con i piedi.

Dodici ore di viaggio e, poco dopo le 13, il nostro cammino parte da Soto del Barco, comune spagnolo di 4.174 abitanti, che si trova nella comunità autonoma delle Asturie. Destinazione Soto de Luiña. Una ventina abbondante di chilometri di strada.

All’indomani la meta è Luarca. Dopo 34 chilometri, che ci portano a scoprire anche la suggestiva Playa del Silencio, arriviamo in una deliziosa cittadina portuale sull’Atlantico, gioiello di storia e cultura arroccate come le sue case, lungo le pareti scoscese della costa. Lasciata Luarca, mercoledì 29 giugno, raggiungiamo Navia, altra cittadina che si affaccia con il suo porto sull’Atlantico.

Fin da subito il cammino si mostra in tutta la sua bellezza, così come in tutta la sua difficoltà.
Il cammino del nord si snoda lungo la costa settentrionale della Spagna. Si cammina lungo il sentiero tracciato nei boschi, da cui è possibile scorgere la bellezza delle spiagge che si affacciano sull’oceano. La via, che segue il profilo delle montagne, tra salite e discese è particolarmente impegnativa e per questo poco frequentata: solo il 6% dei pellegrini scelgono di intraprendere questo cammino che, insieme a quello primitivo (4,6%) – con cui il cammino del nord si intreccia –, è il meno gettonato. Se questo, da un lato, è uno svantaggio perché non si incontrano tanti punti di ristoro, dall’altro è uno dei punti di forza di questo cammino, che ti porta fin da subito all’essenziale.

La fatica della via ti spoglia passo dopo passo del peso di tanti pensieri. E ti alleggerisce di tante cose che, nella nostra modernità, sembrano essere diventate essenziali.
Come, ad esempio, il contapassi, per calcolare il cammino percorso. Nei primi giorni la tentazione di tirare fuori il cellulare ad ogni piè sospinto e dare un’occhiata alla app è forte. Col passare del tempo, i piedi prevalgono sul contapassi e si cammina, seguendo semplicemente le frecce gialle che – su cippi e cartelli, nelle piastrelle incastonate sui muri delle case o tracciate a mano, con la vernice, in ogni dove – sono diventate la nostra bussola.

Nel mezzo del bosco, con l’aria dell’oceano che ti accarezza da lontano, tutto pare trasformato.
A partire dal silenzio che ti circonda e che non ha nulla a che spartire con il silenzio vuoto ed assordante delle nostre città in lockdown, ma è carico di pace e serenità.
Al punto che ti viene la voglia di respirare a pieni polmoni e tendere le braccia allargando le dita per abbracciare quella solitudine intrisa di una natura che torniamo a vivere come madre e non come matrigna, come siamo stati indotti a pensare nel cuore della pandemia.

Nelle salite e nelle discese, tra le radici degli alberi che si intrecciano formando gradini tanto irregolari quanto sconnessi, così come lungo i ruscelli, per attraversare i quali (consapevole di non essere in grado di camminare sulle acque) ti devi giocoforza improvvisare equilibrista e cercare di trovare un appoggio sui sassi, rivedi scorrere questi mesi di pandemia, con tutte le fatiche e le asperità che ti sono inevitabilmente rimaste impresse nella pelle. E ti accorgi che, passo dopo passo, hai attraversato quella giungla, così come sei venuto fuori dalla “giungla” incontrata nel tratto di cammino originario.

Ognuno affronta il cammino a modo suo. C’è chi scandisce il passo recitando il rosario e chi, qualche metro più in là, nel silenzio, lascia pregare i piedi, dedicando i chilometri alle tante persone che, idealmente, porta con sé nello zaino.

Lungo la via, in mezzo al bosco così come attraversando campi di granoturco, sono gatti, asini, mucche e cavalli a farsi nostri compagni di strada. Incontriamo poche persone. Sulla maggior parte delle case – per lo più villette monofamiliari, tutte con un proprio nome – c’è la scritta “se vende”. Le Asturie sono una regione povera, dove scarseggia il lavoro e per questo le giovani famiglie sono costrette ad emigrare nelle città. Nei paesi restano a vivere solo i nonni. Persone che nella loro gioventù guidavano l’aratro nei campi e che, ora per muoversi, guidano lentamente i loro deambulatori. “Donde seis?”, “Da dove venite?”, ci chiedono lungo la via. “Dall’Italia”, rispondiamo. “Quanti siete?”. Nel sentire la nostra risposta, “quaranta”, si sciolgono in un “madre mia!”, che racconta tutto il loro stupore nel vedere così tanti pellegrini tutti quanti insieme.

Il 30 giugno tappa impegnativa di 34 km: lasciamo Navia e le Asturie e ci incamminiamo alla volta della Galizia e di Ribadeo, percorrendo anche un tratto del cammino primitivo in mezzo ai boschi dell’entroterra. Il 1° luglio arriviamo a Mondoñedo (30 km), dove pernottiamo nel Seminario, unica struttura nella zona in grado di ospitare un gruppo di oltre 40 persone. Sabato 2 luglio una di una ventina scarsa di km ci porta a Gontàn. Difficile dimenticare la lunga e ripida salita di cui non si vedeva mai la fine, che ci ha condotti fino in cima alla montagna, dove l’unico suono era quello del vento che ritmava il movimento delle pale eoliche poste su un promontorio poco distante. Lassù, dove anche gli alberi cedono il passo alla radura, è stato l’unico momento, in una settimana di cammino, in cui siamo riusciti a mettere a fuoco con chiarezza un gran tratto di strada, che – ironia del cammino (e della vita) – portava ad una nuova lunga salita, che terminava in mezzo alle nuvole.

E difficile sarà dimenticare quella porzione dolcemente piccante di “pulpo y pan” (polpo lesso con pane fresco), gustata in compagnia sotto un tendone al mercato di Gontàn, con cui abbiamo concluso la nostra tappa. Prima di terminare la giornata arriviamo in bus al Monte Gozo, il primo punto del cammino in cui è possibile scorgere in lontananza Santiago. Lascia senza fiato il vedere le torri della cattedrale spiccare tra i tetti della città.
Le grandi statue raffiguranti due pellegrini stanno lì a indicare quella meta, che tante volte ti sei chiesto se sarai mai in grado di raggiungere e che è lì, a pochi chilometri davanti a te.

Domenica 3 luglio, dopo aver attraversato il “bosco incantato” di conifere e eucalipti, arriviamo in città. La tappa è relativamente breve, solo una quindicina chilometri, poco più di una passeggiata, carica dell’attesa di raggiungere finalmente la meta. Le torri della cattedrale si fanno sempre più vicine. Arriviamo nel cuore di Santiago, in quella piazza dell’Inmaculata (o Plaza de la Azabacherìa) che nei secoli ha visto transitare milioni di pellegrini e gli occhi si alzano a cercare, tra i palazzi gotici tracce della cattedrale, che sentiamo quanto mai vicina, ma che paradossalmente ancora non riusciamo a vedere.

Ci avviamo verso l’Arco do Pazo, dove una musicista di strada suona la fisarmonica in mezzo ad un via vai di pellegrini. È la prima volta che vediamo così tanti pellegrini. E poi eccoci finalmente nella Plaza do Obradoiro. Davanti a noi il maestoso “Pazo de Raxoi”, antica sede municipale e oggi sede della presidenza della Giunta della regione galiziana. Ma lei, la nostra meta, ancora non la vediamo.

È questione di una manciata di secondi, giusto il tempo di voltarci alla nostra sinistra ed eccola lì la statua di Santiago dominare dalla cima della facciata gotica della cattedrale, restituita da pochi mesi al suo antico splendore dopo un restauro durato anni. Sono le 11.20. È un tuffo al cuore che lascia senza parole.

Increduli e felici, ci si abbraccia, si scattano foto e selfie da mandare ad amici e parenti. Ce l’abbiamo fatta. Siamo arrivati.
Tra noi c’erano persone che non avevano la certezza di riuscire a fare anche solo una tappa del cammino e persone che, strada facendo, hanno collezionato così tante piaghe e vesciche da trasformare i loro piedi in un patchwork di cerotti. Ma alla fine eravamo tutti lì. Con le nostre storie, i nostri chilometri e i nostri cerotti.

Alle 12 c’è la messa del pellegrino. Ci mettiamo in fila nella Plaza de las Platerias (la piazza delle Argenterie). I mesi di lockdown ci hanno allenato anche a metterci in coda. I pellegrini entrano lentamente in cattedrale, dopo aver superato i controlli della sicurezza. Sembra filare tutto liscio. Occorre avere solo un po’ di pazienza. Mancano un paio di minuti a mezzogiorno e i primi del nostro gruppo riescono ad entrare in cattedrale. E poi ecco che l’uomo della sicurezza tira fuori il cartello “aforo completo”. Le regole anti Covid sono chiare: la capacità della cattedrale (a cui è possibile accedere solo con la mascherina) è ancora ridotta. E così metà del gruppo resta lì, fuori. E la sensazione è quella che, proprio sul più bello, a quel cammino di chilometri e fatica viene a mancare il tassello più importante. Nel pomeriggio saremmo andati a visitare la cattedrale e a pregare sulla tomba di Santiago. Ma non era la stessa cosa. Alle 17, poi, è in programma l’ordinazione di due diaconi e di due sacerdoti e per questo dobbiamo accorciare la nostra permanenza in cattedrale e rinunciare alla visita del Portico della Gloria. Ci spostiamo allora alla Oficina del Pelegrino dove mostriamo le nostre tessere piene di “sellos” (timbri) e recuperiamo la “Credenziale del pellegrino”.

L’ultima messa del pellegrino è per le 19.30. Avvisati alle 18.20 che in piazza delle Argenterie c’è già una nutrita coda di pellegrini, decidiamo rivoluzionare ancora una volta il nostro programma e di unirci al gruppo in attesa. Siamo lì dieci minuti più tardi e la coda è già arrivata a metà di piazza della Quintana, quella su cui si affacciano la Porta Santa e il monastero delle clarisse. Una coda che di minuto in minuto cresce sempre più, fino a diventare un grande serpentone che si snoda lungo tutto il perimetro della piazza. Passano i minuti, ma la coda non si muove. Sono le 19 e, niente, siamo sempre lì, nello stesso punto da mezz’ora e nulla è cambiato. La celebrazione di ordinazione è terminata e le porte della cattedrale si aprono alle 19.15. I pellegrini iniziano lentamente ad entrare. In considerazione del gran numero di persone che si sono messe in coda prima di noi, la paura è quella di rimanere ancora una volta bloccati davanti al cartello “aforo completo”.

Sono le 19.28 quando finalmente, riusciamo ad entrare in cattedrale. Troviamo posto, in piedi, accanto ad una colonna lungo la navata principale.

Il saluto del celebrante, “Bienvenidos en la casa del señor Santiago” (benvenuti a casa del signor Santiago), è un nuovo tuffo al cuore, che ti lascia senza parole, proprio come quando, poche ore prima, siamo arrivati in Plaza do Obradoiro.
Finalmente siamo “a casa”, finalmente abbiamo raggiunto la meta del nostro pellegrinaggio. Noi e le tante persone che con noi, virtualmente, hanno viaggiato nel nostro zaino, che abbiamo appoggiato lì, per terra, al sicuro tra i nostri piedi impolverati.

Il celebrante, nell’omelia, ricorda che “Gesù viene incontro a chi lo cerca e a tutti dona la sua pace”. Mancano le parole per ricordare tutti quelli che ci hanno chiesto una preghiera, ma si ha la consapevolezza che, anche in questo caso, le parole sono di troppo. L’essenziale è già lì. Lo si capisce ancor meglio quando, al termine della comunione, il coro Itaca di Saragoza, che ha accompagnato la celebrazione, intona in un perfetto italiano “Signore delle cime”, il capolavoro di Bepi de Marzi, il canto delle nostre montagne. E ci si lascia cullare da quelle note che scaldano da sempre il cuore. Note che risuonano nella cattedrale di Santiago proprio nel giorno in cui undici sono le vite rimaste sulla “regina delle Dolomiti”.

Lunedì 4 luglio percorriamo in bus una novantina di chilometri e arriviamo a Finisterre. Lo sguardo si accende della meraviglia delle spiagge che abbelliscono la costa per poi perdersi, una volta giunti al faro, nel blu dell’oceano. Mentre si è pervasi da un grande senso di pace che viene dal vedere l’azzurro del cielo che si incontra con l’azzurro del mare, non si può non pensare a quanti, a qualche migliaio di chilometri di distanza, affidano tutte le loro speranze e il loro futuro a quello specchio d’acqua che – spesso purtroppo senza successo – tentano di attraversare stipati su un gommone, insieme ad altre decine di persone.

In serata partecipiamo ancora una volta alla messa del pellegrino. Questa volta non c’è bisogno di fare lunghe code e troviamo anche un posto a sedere. È un rinnovare il gesto del posare virtualmente il proprio zaino, carico di volti, di storie e di persone, ai piedi dell’altare.
Il celebrante accompagna le letture ricordando il mandato di Gesù, che manda i suoi discepoli nel mondo, a due a due, per annunciare la Buona Notizia. Ed è come se quel mandato interpellasse ciascuno di noi, che all’indomani dobbiamo fare le valigie per tornare nelle nostre case.
Ma non immaginiamo neanche lontanamente che le sorprese che Santiago ci ha riservato non sono ancora finite.

Martedì 5 luglio il volo da Santiago per Madrid è previsto per le 13.30. C’è ancora il tempo – per chi vuole – per partecipare alla messa del pellegrino delle 9.30. Questa volta il nostro gruppo è al completo.

“Bienvenidos en la casa del señor Santiago”.
Un saluto che torna ancora una volta a scaldare il cuore, che ti fa sentire “a casa”, accolti dall’apostolo che oggi apre le porte della sua casa a tutti quelli che si sono messi in cammino per andare a trovarlo. La messa è dedicata in particolare ad una famiglia di ispano-americani che, per ricordare i loro antenati, si sono voluti ritrovare a Santiago de Compostela. Una festa che vogliono condividere con tutti quelli che, quella mattina, partecipano alla messa del pellegrino. E lo si intuisce quando, poco prima della comunione, si vedono i “tiravoleiros” avvicinarsi all’altare maggiore. Sono in otto, come da tradizione. Sono loro, che, in una sorta di danza, fanno oscillare attraverso un complesso sistema di pulegge il botafumeiro che, con i suoi 53 kg di peso e il suo metro e mezzo di lunghezza, è probabilmente il più grande incensiere al mondo. Il botafumeiro viene azionato durante le solennità dell’anno liturgico così come in occasione della festa di s. Giacomo, il 25 luglio, e ogni qualvolta vi sia un gruppo che lo richiede preventivamente, facendo un’offerta alla cattedrale. Proprio come quella mattina.

Accompagnato dalle note del maestoso organo barocco, il cantore intona l’inno a Santiago mentre il botafumeiro inizia a volteggiare lungo il transetto, diffondendo nell’aria il suo profumo di incenso ed eucalipto.

Il celebrante, ricordando il salmo 141, “come incenso salga a te la mia preghiera”, rivolge ai pellegrini parole che hanno il sapore di un mandato:
“Il profumo di questo incenso ci avvolga e ci spinga a portarlo nel mondo”. E così il cammino riparte. È ora di tornare alle nostre case.

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