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Don Domenico Vitelli è tornato alla casa del Padre

RIPATRANSONE – Don Domenico Vitelli è tornato alla casa del Padre. Don Domenico, nato il 23 ottobre del 1938 a Grottammare, risiedeva a Ripatransone presso le Suore Teresiane.

Le esequie si terranno sabato 25 giugno alle ore 10.00 presso il Duomo di Ripatransone.

Vogliamo ricordare Don Domenico con l’ultima intervista a lui realizzata.
Le più sentite condoglianze alla famiglia dall’intera redazione del giornale diocesano.

Don Domenico, come era composta la tua famiglia?
Quando sono nato la mia famiglia era composta dai miei genitori Pasquale Vitelli e Teresa Rosati e dai miei nonni paterni, i miei nonni materni purtroppo erano già morti. I miei nonni si chiamavano Domenico Vitelli e Maria Santori. Nonna Maria morì il 5 novembre del 1945, è lei che mi ha cresciuto perché mia madre era impegnata nel lavoro nei campi. Mio nonno Domenico è morto nel 1948, lui era abbastanza istruito e svolgeva il ruolo di fattore per conto di alcune famiglie di Grottammare, per i laureati e altri; era un loro amico. Il fattore a quei tempi era come un amministratore. I miei genitori invece hanno frequentato poco la scuola.

Come mai tua madre ha dovuto lasciare la scuola?
Mia madre era originaria di Ripatransone e purtroppo lasciò la scuola per andare a lavorare nei campi: in famiglia erano nove figli e a quell’epoca non era importante se le femmine non erano istruite. Mia madre era del 1910 ma mi ha insegnato a fare i calcoli ed era straordinaria in questo: io a volte faccio i conti con molta semplicità, tutto frutto degli insegnamenti di mia madre, che era molto intelligente e avrebbe ottenuto grandi risultati se avesse avuto la possibilità di frequentare la scuola.

Dove sei nato?
Io sono nato a Grottammare, in campagna. La casa non era nostra, i miei lavoravano per un proprietario terriero che era il nonno di Vagnoni, quello che ora ha la tabaccheria. La casa dove sono nato era vicino alla pinetina ma ora è stata buttata giù e al suo posto stanno costruendo un nuovo edificio. Alcuni anni fa mi sono fatto fare un disegno dell’abitazione dove sono nato e dove siamo stati fino ai miei due anni. Nel frattempo nacque anche mia sorella e  ci trasferimmo al centro storico, su al “Castello”, vicino alle suore teresiane. Alcuni anni dopo mia madre comprò una casa e ci trasferimmo nuovamente.

Come è nata la tua vocazione?
Negli anni in cui frequentavo la scuola il curato della parrocchia di San Giovanni Battista a Grottammare, don Antonio De Angelis, mi chiese se avevo intenzione di diventare sacerdote. Padre Oddo, a quei tempi superiore del convento dell’Oasi a Grottammare e cappellano dei ferrovieri, mi invitava sempre a frequentare il convento, conoscere la vita dei frati, ma a me da bambino non interessava la vita religiosa. Io frequentavo il convento perché servivo la Messa delle 6:00 del mattino e spesso stavo lì già alle 4:00. Don Antonio mi invitò ad andare in seminario durante gli anni in cui frequentavo la scuola “Speranza”: me lo chiese un giorno davanti la chiesa di sant’Agostino. Ci incontravamo spesso lungo la strada che da lì porta fino alla statale, dove c’è il mezzobusto di Garibaldi:  io portavo il pranzo a mio padre sul posto di lavoro e il curato andava a comprare il giornale. Chissà quella domanda da quando tempo la teneva nel cuore! Io cercavo di evitarlo perché ero timido ma un giorno mi fermò e mi disse: “Ti piacerebbe andare in seminario?”. Io gli risposi di sì. Quando ero più piccolo ai frati risposi di no, poi con il tempo ci ripensai e a don Antonio risposi di sì. Erano passati tanti anni nel frattempo. In seminario, a Montalto, eravamo tanti, ottanta mi sembra. Quando andai al seminario di Ripatransone dopo la terza media andarono via in molti e da dieci che eravamo di Grottammare rimasi solo io. Ogni volta che andava via qualcuno mi facevo la stessa domanda: “Ma io che voglio fare? Continuare o andare via pure io?”. Ero adolescente. A Ripatransone eravamo io, don Piergiorgio Vitali e don Marcello Di Girolami. Il ginnasio l’ho fatto a Ripatransone, a Fano ho fatto tre anni di liceo, dal 1954 al 1957. Il vescovo Radicioni mi voleva mandare a Roma e fu lui che mi ordinò sacerdote. A Roma c’era già don Antonio Capriotti e allora i canonici di Montalto gli dissero che non potevo andare perché c’era già un seminarista della diocesi di Ripatransone. A Roma andò Ercole Cavatassi ma frequentò il seminario per un anno poi andò via, si sposò, divenne professore al liceo di Ascoli Piceno e si occupò di politica. Al suo posto a Roma allora andai io e lì rimasi sette anni. Nel dicembre del 1961, , tre giorni prima di Natale, divenni diacono. Il 17 marzo del 1962 divenni sacerdote, fui ordinato presso la chiesa di San Giovanni Battista a Grottammare: ricordo che quel giorno c’era un metro di neve e quindi molti miei parenti non riuscirono a venire. Il vescovo riuscì a venire perché si trovava a Roma: prese il treno alla stazione di Roma ed arrivò ad Ancona e poi di lì alla stazione di San Benedetto del Tronto. Il giorno dopo celebrai la mia prima messa, sempre a San Giovanni Battista: fu chiesta per me la dispensa di sei mesi a Papa Giovanni XXIII perché non avevo ancora ventiquattro anni, età minima per diventare sacerdote.

Com’è stata la tua vita da sacerdote?
La mia prima parrocchia fu San Pio V dal 1 ottobre 1963 dove rimasi per tre anni, fino al 21 novembre 1966. Poi andai a San Filippo Neri: la chiesa era ancora da completare, il nuovo altare fu inaugurato il 19 marzo del 1967. Quando andai io la parrocchia contava millecinquecento persone, quando andai via ne erano diventati ottomila. Io conoscevo tutti, mi piaceva parlare con la gente e avere contatti con i miei parrocchiani: li porto ancora oggi tutti nel mio cuore. Mentre ero vice parroco a San Filippo insegnavo alle elementari, alle medie e al seminario di Ripa, mi ricordo che fui mandato ad insegnare francese, lingua che io non conoscevo, e allora il vescovo mi disse: “Studi insieme a loro”. Quando frequentavo il liceo nel 1957, lessi la lettera di Pio XII “Il dono della fede” e cominciai a pensare di diventare missionario ma poi con il tempo abbandonai l’idea. Nel 1993 però mi si presentò l’occasione, insieme all’équipe itinerante dei neocatecumenali, di partire in missione in alcune parti del mondo ed accettai questa nuova esperienza. Fui mandato in Camerun, con il permesso del vescovo Chiaretti, e lì nacquero trentadue nuove comunità.  Prima di partire avevo sentito solo dei racconti dell’Africa. Durante gli anni trascorsi lì facevamo tantissime catechesi frequentate da tantissime persone ed eravamo in dialogo con sacerdoti, religiosi, vescovi o arcivescovi. Negli anni 1958 e 1959 fui invece mandato a Ripe di Civitella, per tornarci poi nel 1975. Inoltre ho rivestito anche il ruolo di amministratore dell’Ancora, dal 1983 al 1993.

Cosa ti è rimasto di quel periodo?
Tantissimi aneddoti e tantissimi amici e con alcuni ancora mi sento per telefono. Ricordo anche le catechesi dove incontravo tante persone.

Quando sei tornato?
Sono tornato nel 2000 quando il vescovo Gestori aveva dei progetti da farmi realizzare. Fui inviato a Ripatransone il 29 ottobre di quell’anno, giorno della Castagnata. Mi occupavo delle quattro parrocchie di Ripatransone, portavo la Comunione ai malati, ma dopo alcuni anni chiesi di farmi sostituire perché non riuscivo a sostenere tutti gli impegni.

Com’è la vita da sacerdote?
La vita da sacerdote è straordinaria. Io vivo da solo e ho felicemente lasciato tutto per seguire Cristo. Voglio ringraziare le suore che ogni giorno si occupano di me dal giorno in cui ho avuto l’incidente sulla Valtesino: sono loro la mia famiglia. Quando ebbi l’incidente circolava la voce della mia morte, invece mi ritrovarono all’ospedale mentre raccontavo ai giornalisti cosa mi era accaduto.

Raccontami qualche aneddoto della tua vita.
Un aneddoto risale a quando ero vice parroco a San Filippo Neri: venne da me un uomo che era stato trent’anni in carcere e voleva confessarsi e gli regalai la mia corona del rosario d’argento. Un altro aneddoto risale a quando ero a Roma e incontravo l’allora cardinale Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII. Lo incontravamo noi seminaristi perché veniva a salutare le suore del Coberletto, le suore di Venezia perché lui all’epoca era Patriarca di Venezia. Gli piaceva parlare con noi, voleva conoscerci meglio. Ad un mio compagno che aveva uno strano cognome gli disse: “Qualche volta i cognomi bisogna tenerseli”. A me quando gli dissi che venivo dalla diocesi di Ripatransone mi disse: “A Ripa ci sarà molto sole”, perché lui prima del conclave doveva venire qui per il Congresso Eucaristico.

Quale è il tuo ricordo più bello?
La nostra diocesi ha avuto una crescita importante dal punto di vista della popolazione. Ancora oggi mi capita di incontrare tante persone che avevo conosciuto da bambino e che ancora si ricordano di me e mi vogliono bene e mi vengono a trovare. Voglio dire loro che li porto tutti nel mio cuore.

Redazione:

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  • Sei stato il mio insegnante alle medie, avevi sempre un sorriso, una parola, leggevi dentro il cuore. La tua accoglienza era grande ed essere con te, ascoltarti e parlarti era fonte di serenità. È stato un dono averti conosciuto. Nel corso della vita mi è capitato di pensarti spesso e di ricordare la tua disponibilità verso gli altri. RIP vicino a nostro Signore. Ciao Don Domenico