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FOTO Vescovo Bresciani: “Si tende a far prevalere individualità singole o di gruppo”

DIOCESI – Sabato 4 giugno, il Vescovo Carlo Bresciani ha presieduto la Veglia di Pentecoste presso la nostra cattedrale “Santa Maria della Marina”. Hanno concelebrato con lui diversi sacerdoti della diocesi.

Presenti per il servizio anche diversi diaconi tra cui: Walter Gandolfi, Piero Ciboddo, Pierluigi Grilli, Emanuele Imbrescia e Giovanni Bettoni. La celebrazione è stata animata dalla Consulta Laicale: la Pentecoste è sempre un’occasione speciale per ringraziare Dio per i vari carismi che lo Spirito Santo suscita nella Chiesa. Riportiamo di seguito il testo dell’omelia del Vescovo Carlo:

“La veglia di Pentecoste insieme a tutte le aggregazioni laicali della diocesi è una bella tradizione che ci fa ritrovare insieme -sacerdoti, religiosi, aggregazioni ecclesiali e laici-, per invocare lo Spirito che dona ogni carisma di cui la Chiesa si nutre e con i quali continua a generare frutti di carità per la vita del mondo. Lo invochiamo come lo Spirito che “piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, raddrizza ciò che è sviato”, ma nello stesso tempo, e proprio per questo, ci rafforza nel cammino di Chiesa che il Signore prepara per noi. Il libro degli Atti degli Apostoli, che la Chiesa ci ha fatto meditare nelle liturgie eucaristiche del periodo pasquale, ci ha mostrato come la Chiesa, lasciandosi guidare dallo Spirito, ha superato le chiusure e ha approfondito sempre più quanto il Signore Gesù le aveva affidato. Si è così aperta progressivamente ai pagani e al mondo intero, superando difficoltà e resistenze di vario genere.

Forse siamo stanchi, scoraggiati, feriti, disgustati di tante cose che non ci piacciono e ci fanno soffrire, ma siamo qui per dire che, nonostante la fatica e la tentazione dello scoraggiamento, continuiamo a confidare nello Spirito che “nella fatica è riposo, nella calura riparo, nel pianto conforto”. È, questo, per noi un momento di grande comunione e di forza per rinfrancarci nel ministero e nella nostra comune vita cristiana. Siamo qui riuniti con età e formazioni diverse, con diverse sensibilità, con diverse culture, ma per dire in comunione davanti a Dio: “Sì, Signore, confido in te che continui a guidare oggi la tua Chiesa. Voglio continuare a confidare in te e a vivere la grazia di questa Chiesa che tu ci hai donato”. Con l’Apostolo Pietro, questa sera possiamo ripetere con fede e con convinzione: “Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il santo di Dio” (Gv 6, 68-69).

I carismi che lo Spirito dona sono per la costruzione del corpo di Cristo che è la Chiesa (cfr. Rom 12, 3-8). I carismi, ogni carisma, implicano una missione per l’edificazione della comunità cristiana: devono, quindi, essere sempre rapportati e mai separati dalla comunità ecclesiale, che è il popolo di Dio radunato dallo Spirito. Si tratta di un criterio fondamentale e imprescindibile per il discernimento dell’autenticità cristiana di ogni carisma.

Ognuno di noi, perciò, non solo è chiamato a riconoscere il proprio carisma, rendendone grazie al Datore di ogni dono, ma ad esercitarlo a servizio di tutta la comunità cristiana, la quale si qualifica e cresce attraverso i dinamismi carismatici con i quali Dio la arricchisce. Il carisma, in quanto dono di Dio, quindi per sua natura gratuito, può esistere solo in relazione a un servizio per il bene del tutto del corpo ecclesiale, non per separarsi da esso, meno che meno per mettersi in contrapposizione ad esso. Questo è il grande insegnamento dell’apostolo Paolo, quando dirime la questione dei carismi nella Chiesa di Corinto. Per lui, infatti, due sono le coordinate per il discernimento ecclesiale: da una parte, pone il primato dell’azione dell’unico Spirito, che distribuisce i doni come vuole; dall’altra, pone il valore e la finalità dell’edificazione dell’intera comunità cristiana (cfr. 1Cor 12, 4-7).

Non è pensabile un carisma e una ministerialità nella Chiesa al di fuori di un legame di alleanza, vale a dire, un legame di appartenenza forte e di fedeltà sincera al popolo di Dio, da Lui eletto e costituito ‘sacramento’ della sua presenza salvifica (cfr. Lumen Gentium). L’appartenenza a Dio passa necessariamente attraverso un’appartenenza gioiosa al Popolo di Dio. Dice, infatti, san Paolo: “Chi dona, lo faccia con semplicità; chi presiede, presieda con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia” (Rom 12, 8), ma mai dimenticando che “pur essendo molti, siamo un solo corpo in  Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri” (12, 5).
Come nell’eucaristia l’acqua si mescola al vino e, mescolandosi, sembra sparire, così lo Spirito, attraverso i carismi che elargisce secondo la sua libertà, impregna silenziosamente la nostra umanità per condividere con noi la sua divinità e la sua missione unificatrice della Chiesa e, attraverso la Chiesa, unificare l’umanità intera. Come l’anima dà vita al corpo, ma non si vede, così lo Spirito, con i carismi che effonde, vivifica silenziosamente la Chiesa in tutte le sue membra, mantenendole saldamente unite a Cristo e al suo corpo che è la Chiesa.

Il cammino sinodale
Come Chiesa italiana abbiamo iniziato un cammino sinodale che continuerà fino all’anno santo del 2025. Alla luce dell’opera dello Spirito, stiamo comprendendo come non basti mettersi insieme per camminare insieme. Dobbiamo farlo da ‘alleati’, come Popolo della Nuova Alleanza, avendo la consapevolezza di un’appartenenza comune ‘di fede’ che legittima le nostre diversità aggregative, ma facendone emergere la loro natura complementare. Si tratta di un cammino che ci fa prendere coscienza che solo uniti al Popolo dell’Alleanza riusciamo a camminare davvero insieme ed essere veramente Popolo di Dio. Solo la fede ci fa camminare insieme come alleati e non soltanto come individualità, gruppi o aggregazioni coesistenti più o meno pacificamente. Solo la fede ci permette di riscoprirci continuamente inseriti, insieme, come comunità cristiana, nell’alveo salutare della Rivelazione divina che ci fa Chiesa.

Una delle gravi crisi del nostro tempo, e della Chiesa, è la mancanza o povertà di senso di appartenenza a questo popolo di Dio. Si tende a far prevalere individualità singole o di gruppo: non siamo di fronte solo a una povertà sociologica, ma sacramentale, perché i sacramenti della iniziazione cristiana ci sono dati per inserirci in questo popolo di Dio che è il corpo vivente di Cristo. I sacramenti ci fanno membra di un unico corpo: camminiamo insieme quindi come le membra di un solo corpo, riconoscendo che l’unico capo è Cristo.

Il cammino sinodale in corso non ha nulla a che fare con una riforma strategica o politica della Chiesa, ma con la necessità di una profonda riforma spirituale. Carissimi, la vera crisi attuale della Chiesa è una crisi spirituale. Il cammino sinodale si presenta come una ‘palestra’ per vivere questa operazione vitale del camminare insieme nelle differenti realtà ecclesiali e, al contempo, come una sfida per crescere insieme, sacerdoti e fedeli, nella fede comune.

Camminare insieme per crescere insieme nella fede che ci unisce: c’è, quindi, una meta spirituale per il nostro cammino sinodale: si tratta della meta decisiva che deciderà della fecondità del cammino stesso. Maturare uno stile sinodale per le varie realtà ecclesiali significa avere il coraggio di situarsi continuamente e costantemente in una dinamica di rilettura nella fede dei vissuti anche ecclesiali, per elaborare linguaggi e prassi della fede sempre nuovi e sempre più autenticamente ecclesiali, quindi comunitari. In caso contrario, il cammino sinodale perderebbe la sua carica profetica divenendo un semplice aggregarsi sociale o uno scambio di notizie ed esperienze generiche, quando non intriso di rivendicazioni o lamentazioni inconcludenti. Siamo chiamati a cantare le lodi per quello che Dio va operando in noi e nella Chiesa, non ad attardarci a cantare le nostre lamentazioni.

Il mutuo riconoscimento delle fragilità nella fede, che tutti portiamo dentro di noi, anziché dividerci o instaurare dinamiche da primogenitura o da primi della classe nella fede o nella Chiesa, deve rinnovare il legame di comune appartenenza a Cristo, unico nostro Salvatore e donarci la consapevolezza che tutti, nessuno escluso, abbiamo bisogno di redenzione, quella redenzione che può venire solo da Cristo attraverso la Chiesa e che tutti abbiamo bisogno del sostegno reciproco per un cammino di fede che non è mai concluso per nessuno.

Invochiamo con fede, quindi, o carissimi, lo Spirito del risorto per rimetterci in cammino dopo questa sosta rinfrancante; in cammino come gli Apostoli per le strade del mondo, gioiosi di essere stati scelti per godere della gioia del Vangelo”.

Al termine della celebrazione il Vescovo Carlo Bresciani ha consegnato ai presenti la sintesi sinodale della Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto.

Redazione: