DIOCESI – Pubblichiamo le parole pronunciate dal vescovo Carlo Bresciani in occasione del Venerdì Santo.

Vescovo Bresciani: “Il venerdì santo ci mette davanti il caso più serio della vita e della vita cristiana in particolare: quello della croce e della morte. La croce e la morte di Gesù non ci lasciano mai indifferenti, come ogni croce e ogni morte che in qualche modo attraversa la nostra vita. Si tratta della croce e della morte dell’innocente per eccellenza, di colui che ha fatto solo del bene a tutti e ha predicato e vissuto un amore universale, un amore che arrivava fino ai suoi nemici.
Ci si presenta immediatamente davanti agli occhi il contrasto, che sembra insanabile, tra l’amore e la croce. In realtà, nella vicenda di Gesù abbiamo, invece, la possibile ricomposizione di amore e di croce, in quanto solo alla luce dell’amore infinito di Dio, possiamo comprendere il senso ultimo di quella croce e comprendere che proprio la croce è la rivelazione somma di un amore infinito. Non sarebbe stato tale se non avesse accettato la croce.
Forse dobbiamo togliere un fraintendimento che traviserebbe completamente il senso della morte in croce di Gesù. Si usa dire, e anche la Bibbia sembra esprimersi così, che il Padre -Dio- abbia voluto e consegnato suo figlio alla morte e che Gesù abbia accettato la croce per obbedienza al Padre. Ma un padre può volere la morte del figlio? Sarebbe l’esatto contrario dell’amore, perché la morte non è mai un bene e Dio non può volere la morte, ma solo la vita. L’amore tra il Padre e il Figlio Gesù non può che essere totale e il Figlio non può che volere con tutto se stesso ciò che il Padre vuole. Infatti Gesù ha detto: “mio cibo è fare la volontà del Padre” (Gv 4, 34).
Che cosa affermiamo allora quando diciamo che Gesù è stato obbediente fino alla morte e alla morte in croce? Quale è la volontà del Padre? La volontà del Padre è che il Figlio resti fedele all’amore che ha predicato in tutta la sua vita, che non smentisca quanto ha fatto verso gli ultimi e i bisognosi, perché significherebbe tradire se stesso, tradire la sua divinità e la sua umanità. La fedeltà all’amore porta il Figlio a scontrarsi con chi, preoccupato solo di interessi altri, non vuole assolutamente sentire parlare di un tale amore. A questo punto si pone al Figlio la questione fondamentale: tradire l’amore per il povero, per il peccatore, per il pubblicano e salvare così la propria vita, o restare fedele a quell’amore che è il senso stesso della sua vita umano-divina? Sa che restare fedele gli costerà la croce, non c’è via di scampo, ma non può tradire se stesso. Ha predicato un amore di Dio che non si lascia fermare da nulla e nella sua vita ha mostrato esattamente questo: se per evitarne le conseguenze, si tirasse indietro, smentirebbe tutto e renderebbe tutta la sua vita una penosa farsa: un tradimento.
A questo punto possiamo comprendere quale sia la volontà del Padre: che il Figlio non tradisca se stesso, vendendo se stesso e la propria coscienza e distruggendo la propria dignità umano-divina. Il Padre non vuole la croce del Figlio, vuole la fedeltà del Figlio, anche se ciò comporta, purtroppo, la croce. Potrebbe il Figlio parlare seriamente dell’amore di Dio se di fronte a tale minaccia tradisse la fedeltà ad esso? Questo sarebbe esattamente il peccato. Di che amore avrebbe parlato? Si potrebbe davvero credere a un amore che di fronte a tale minaccia si lasciasse indurre al tradimento e all’infedeltà? L’amore di Dio non è, e non può essere, un amore infedele.
Gesù stesso non vuole la croce, anzi prega perché, se appena possibile, possa essergli evitata: sa che il calice che deve bere è molto amaro, al punto che suda addirittura sangue. La sua umanità fa sentire su di lui tutto il suo peso. Ma: “sia fatta la tua volontà, o Padre”. Può un Padre dire al Figlio: tradisci te stesso e perdi pure la tua dignità? Il Padre soffre per il crudele destino del Figlio, che di fatto è la manifestazione della crudeltà di chi lo uccide, ma non può volere che il Figlio tradisca se stesso venendo meno alla fedeltà all’amore. Se tradisse l’amore per evitare la morte, negherebbe la sua dignità umana e di Figlio di Dio, peccherebbe e Dio non può volere il peccato.
Proprio di fronte a questo dilemma, che Gesù risolve con la fedeltà a costo della croce, si manifesta la serietà dell’amore. Ciò dice anche a noi che possiamo credere all’amore solo se si resta fedeli ad esso anche nelle difficoltà, cioè nella croce. In caso contrario, lo si riduce a sentimento emotivo a cui non si può dare alcuna fiducia a causa della sua volubilità di fronte alle difficoltà. Non possiamo illuderci: a volte l’amore costa e costa anche molto. Questo ci dice la croce di Gesù.
Abbiamo nella croce di Gesù la manifestazione, vissuta sulla sua pelle e nella sua carne, di cosa sia l’amore vero. L’amore è cosa seria, non fluttuante sentimento. Oggi abbiamo quanto mai bisogno di liberare l’amore dalle pastoie che ne travisano la realtà, la sua profondità umana e il suo potere rigenerante della vita. È questo che fa Gesù. Si tratta di un messaggio vitale di cui il nostro contesto culturale ha ancora estremamente bisogno, in quanto riduce l’amore al sentimento emotivo del momento, escludendo da esso la croce. Ma su un tale amore non si può confidare, non si può costruire nulla, perché è sabbia e sulla sabbia non si costruisce nulla di duraturo, perché quanto hai cercato di costruire ti tradisce proprio quando più ne hai bisogno, perché una tale concezione dell’amore porta all’infedeltà e cerca di giustificarla. Non è questo l’amore di Dio e non è questo l’amore che dà fondamento e custodisce la vita.
Con la sua croce, Gesù ci insegna che cosa significhi amare veramente.
Accogliamo il suo insegnamento e traduciamolo nella vita di ogni giorno, portiamolo nelle nostre famiglie e nelle nostre relazioni. È questa la strada che ci introduce nella vita nuova, quella che passando attraverso la croce possiamo anche noi avere, così come l’ha avuta Gesù, dopo essere passato attraverso la croce del venerdì santo”.

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