Marco Testi
Chi sostiene che Natale non significhi più nulla, e che sia anzi una tradizione potatrice di frammentazione e separazione tra popoli dovrebbe leggere questo “1914. Qualcosa di nuovo sul fronte occidentale” (Edizioni Ares, 320 pagine, 15 euro) di un esperto in materia di storia militare, Antonio Besana.
Perché, come spiega il sottotitolo, si tratta di un lungo viaggio sui campi di battaglia della Tregua di Natale: una, anzi, diverse sospensioni dei combattimenti avvenute soprattutto tra il 24 dicembre e il giorno stesso di Natale,con qualche sporadica replica intorno all’ultimo dell’anno 1914.
Le tregue ci sono state, non c’è dubbio, e forse, lascia capire questo documentatissimo libro, la famosa partita di calcio tra nemici al fronte è una leggenda, che, come tutte le leggende, ha una parte di verità, fatta di frammenti di alcune partitelle, palleggi, ammucchiate (in un caso si parla di 100 “giocatori”), rincorse di palloni il più delle volte fatti di stracci, pezzi di vestiti, o semplici lattine vuote tra soldati nemici o della stessa nazionalità. Con la sorpresa di apprendere che alcune foto “storiche” della ipotetica famosa partita non riguardano l’evento che sarebbe accaduto sul fronte nord-occidentale il primo inverno di guerra, ma altre situazioni, e il più delle volte tra soldati della medesima nazionalità.
Non è retorica. Su un lungo fronte bellico (circa 50 chilometri), soldati tedeschi, come mostra la foto di copertina, fanno intravedere alberi di natale con le candele accese, poi escono dalle trincee, disarmati, invitando gli altri (soprattutto inglesi ma non solo) a fare altrettanto.Fu così che, nonostante i richiami, l’ira, le minacce degli ufficiali, avvenne l’incredibile. Nemici che si erano fronteggiati a cannonate, che avevano perso amici ancora insepolti nelle terre di nessuno, si scambiavano dolci, viveri d’ordinanza, bevande, bottoni, foto,tutto quello che era rimasto ad ognuno nel corso di un inverno che aveva mostrato la lontananza della guerra moderna dalle immagini romantiche del guerriero spada in mano, vive nell’immaginario dei giovani volontari. Lo stesso “guerriero” e scrittore Ernst Jünger (le sue “Tempeste d’acciaio” narrano la guerra da quel punto di vista), che poi aderirà al nazismo per poi allontanarsene alla rivelazione della sua vera essenza, lamentava la fine di quell’epoca “eroica”.
“Così, dopo tutto, la festa di Natale, la festa dell’amore, ha causato che gli odiati nemici per un breve periodo di tempo siano diventati amici. Non dimenticherò mai questo Natale!”,è la testimonianza di uno di quei guerrieri che si affrontavano tra fango, pioggia, frane, in uno scenario che non era più quelle dell’Iliade o delle saghe germaniche. Per tutti loro, celti, sassoni, franchi, come sarebbero stati chiamati un tempo, credenti o meno, il Natale ha rappresentato, a millenovecentoquattordici anni dal primo, qualcosa di legato intrinsecamente all’uomo, fin dalle origini, ma a cui quell’evento ha dato una natura reale, condivisa, affascinante, anche nella società dell’odio e poi dei consumi.
“E allora ho pensato, bene, questa è stata certamente una cosa straordinaria: due nazioni che entrambe cantano lo stesso canto di Natale nel mezzo di una guerra”.