X

Il lugubre “urlo” della sirena a San Benedetto, il Direttore Pompei ricorda il 27 Novembre del 1943

Di Pietro Pompei

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Quel 27 Novembre del 1943 dimenticammo anche il povero pranzo appena scodellato per accorrere nei punti più alti dei paesi che ci avevano ospitati perché si era sparsa la notizia di un violento bombardamento sulla nostra città. Fu una catastrofe. La morte si fermò a San Benedetto con più di 20 morti a cui vanno aggiunti quelli che sopravvissero alcuni giorni alle gravi ferite riportate. Dal Paese Alto al mare fu tutta una distruzione. Diretti a Civitanova Marche confusero le due città, sbucarono da Est da un cielo nuvoloso, non dando tempo a quelli che erano tornati in città di rifugiarsi .La “sirena” non fu sufficiente; ci si era fatta l’abitudine, come per il rischio. Oh…la “sirena”!

Specialmente nelle notti d’inverno quel fischio lacerante della “sirena”, posta sul tetto del vecchio municipio per segnalare il rischio dei bombardamenti, non sempre riusciva a svegliare noi ragazzi, ma gli adulti saltavano subito dal letto e quando mamma ci scuoteva per notificarci il pericolo, era già pronta per portarci in luogo più sicuro. Quando le notti erano calde, per noi ragazzi diventava quasi una festa ed a gruppi, noi della zona dei “Monterò” ci portavamo verso i campi a nord della città. Ci si disperdeva lungo i filari della vigna, sotto gli alberi, rovinando spesso gli ortaggi, con grande disperazione dei contadini come “Sbosce” o “Francescantò”. E si stava lì, pazienti, anche delle ore, aspettando il rumore sordo dei bombardieri che a grappoli passavano sopra le nostre teste con i loro pancioni pieni di morte. Con la stazione ferroviaria ed il porto, la nostra cittadina era sempre a rischio e lo sapevamo, tanto è vero che qualsiasi esplosione ci faceva correre fuori casa per paura che tutto ci piombasse addosso.
Quando la notte era particolarmente fredda o il tempo inclemente, allora si rimaneva a casa. Quasi spontaneamente ci si raccoglieva nell’angolo dell’affumicata cucina dove un’immagine della Madonna col bambino, invitava alla preghiera. Era lo “zenith” dei momenti difficili: una mensolina, con un merletto ingiallito dal tempo ed un’immagine che il fumo talvolta rendeva indecifrabile e che aveva tutta la sembianza delle icone bizantine. Era lì su quella mensola un lumicino che si accendeva nelle notti di tempesta, quando gli uomini non erano tornati dalla pesca e le donne si incurvavano sulle sedie di paglia, addormentandosi con la corona in mano. Nei momenti del pericolo ci trovavano tutti lì, ultimo baluardo sia che il lampo o il fulmine spingevano alle tipiche invocazioni dopo aver chiuso le imposte sia che lo snervante e crescente rumore dei bombardieri azzittiva tutti in un’attesa terrificante. Era la vecchia che iniziava a monosillabi le giaculatorie, mentre le mamme cercavano le mani dei più piccoli. Allora non si poteva accendere neppure un lume, se non volevi incorrere in qualche rappresaglia. Era la preghiera disarmata dei poveri che coinvolgeva anche l’animo rozzo del marinaio che vi partecipava togliendosi ,come un rito, la “berretta”. Il gelo di quelle notti nell’incerta attesa della morte, ritorna talvolta nel ricordo con i brividi di una povertà, che i nostri giorni non riesce a percorrere neppure con la fantasia; e c’era lì la fredda e bianca pietra del tavolo da cucina ad accentuare un’atmosfera da obitorio.
Nell’autunno del ’43, quando ormai era evidente che avanzando il fronte alleato, avrebbe distrutto tutto quanto poteva essere un motivo di ostacolo, si iniziò l’evacuazione della città verso l’interno che appariva più sicuro. I primi paesi ad essere occupati furono Acquaviva e Monteprandone, poi ci si spinse ancor più, nell’interno ricorrendo all’aiuto di parenti ed amici. Più famiglie insieme si adattarono in spazi limitati e molti non disdegnarono di abitare in grotte, alcune delle quali mostrano ancora i segni di quella presenza, come le grotte che si trovano sulla strada che da Sgariglia conduce a Colle di Guardia. I più vicini, spesso, di giorno, tornavano in città, rischiando di rimanere uccisi sotto il mitragliamento dei •caccia• che apparivano improvvisamente. Ed ai tanti morti del mare, oggi dobbiamo doverosamente ricordare le decine di persone colpite, mentre tentavano di mettere in salvo le loro povere cose.

Redazione: