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Effatà!!

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto

Chi sono i poveri? E’ importante capirlo perché, ci dice San Giacomo nella seconda lettura di oggi, sono essi coloro che Dio ha scelto e sceglie come eredi del suo regno.
Precisamente «i poveri agli occhi del mondo».
Il povero è colui che manca di qualcosa: non dispone a sufficienza di quanto è essenziale per vivere, per sostentarsi, ha scarsi mezzi economici, scarsi beni personali.
Povero, oggi, è colui che non ha accesso alle tecnologie, ad una buona formazione, all’assistenza sanitaria, ad un lavoro dignitoso.
Come povero, oggi, è anche additato colui che non ha successo, che manca di fama, di bellezza, di popolarità.
Povero è colui che, per molti motivi, non si trova in una situazione di libertà e pienezza.
Sono i ciechi, i sordi, gli zoppi, i muti di cui ci parla il profeta Isaia nella prima lettura, coloro che mancano della vista, dell’udito, della parola, della possibilità di camminare.
A loro il Signore dice: «Coraggio, non temete. Ecco il vostro Dio…egli viene a salvarvi».
Povero è il sordomuto il cui incontro con Gesù ci viene raccontato dal brano evangelico di oggi; su quest’uomo irrompe la Parola di Dio, «Effatà», cioè “apriti”.
Il povero: colui che ha bisogno di altri, trovandosi in una situazione di dipendenza e marginalizzazione.
E’ per tutto ciò che il Signore li fa eredi del regno e destinatari della salvezza? La predilezione per i poveri che ha Gesù è una forma di riscatto a loro garantita per ripagarli dalle sofferenze vissute?
Ma il Signore, la sua Parola, non si scagliano contro la ricchezza in sé, le ricchezze non sono demonizzate ma viene sottolineato il pericolo che possano riempire, colmare, saturare il cuore, la mente, l’anima, la vita di chi le possiede senza, quindi, alcuna necessità, per quest’uomo di fare largo, accogliere null’altro.
Il rischio del ricco, infatti, è quello di mettere la fiducia unicamente nelle proprie ricchezze, di mettere la propria identità nei beni posseduti e non lasciar spazio ad altro.
In questo senso la povertà è privilegiata nel momento in cui è specchio di un’attesa che non è riposta nei propri mezzi o risorse né tanto meno nelle proprie possibilità economiche, ma nell’affidarsi a colui che è la fonte di ogni dono, un’attesa che è necessità, desiderio di essere colmati dalla presenza del Signore, che è abbandono in Dio, che è fiducia in Lui e non esclusivamente nei beni, nel potere, nel successo, nel proprio io.
Il cristiano è colui che è capace di fare e lasciare spazio nella propria vita a Dio, alla sua Parola, alla sua azione. C’è un regno che viene dentro il cuore di chi ascolta, là dove i credenti rifiutano che altri regnino su di loro ma permettono solo a Dio di regnare, di determinare la loro vita.
La povertà evangelica allora non è un consiglio, non è un valore, è uno spazio, una dimensione della fede, della relazione con il Signore. Solo i poveri, infatti, sanno riconoscere il bisogno di salvezza e accogliere il Vangelo come buona notizia di salvezza. La povertà è mezzo di salvezza per ogni cristiano e, come tale, non solo non è un consiglio riservato a pochi che percorrono una via di speciale consacrazione, ma è esigenza inscindibilmente connessa alla vocazione cristiana e che coinvolge la nostra responsabilità, la nostra libertà, la nostra creatività di uomini e donne alle sequela di Cristo.

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