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Credenze antiche e medicina popolare

Nel passato certo le donne non avevano tempo di fermarsi a bere un caffè.

In generale la vita era assai dura e dovevano lavare, rammendare, cucinare, pulire, badare ai figli e in alcuni casi, anche lavorare fuori casa. Ogni lavoro domestico era manuale, non c’era lavatrice, lavastoviglie e neanche i cibi pronti sugli scaffali del supermercato, per cui ad esempio anche la pasta bisognava perderci tempo e farla in casa.

Le nonne raccontavano di miseria e che non si trovava niente, specie fra le due Guerre. A 40 anni le donne erano già vecchie, spente e trascurate, quel rapido momento di beltà e giovinezza dei vent’anni era durato troppo poco. Oltre alla mancanza di scuola e di istruzione, anche rivolgersi al medico era difficile e costoso, così esistevano molti rimedi naturali, a base di erbe, decotti che qualcuna, di solito anziana ed esperta, aveva “ereditato” da madri nonne zie ed era un pò la “medichessa” ( se si potesse usare un termine così) del villaggio o paese. Di certo si accontentava di un paio di uova, qualche pomodoro come pagamento e costava di meno di un reale medico. Peccato però che spesso i suoi rimedi non erano molto efficaci ( se il malanno era serio) per cui necessitava un medico vero ..

Se un bambino aveva i vermi ( una parassitosi dovuta alla mancanza di igiene e al fatto che i bambini razzolavano a terra praticamente h24 ) gli venivano propinati decotti di malva, quella graziosa erba spontanea con i fiorellini viola a forma di margherita, se aveva la febbre gli si facevano strofinazioni con vino ( effettivamente l’alcool rinfresca l’epidermide e aiuta ad abbassare la temperatura ). I rimedi erano tanti , spesso anche utili a sfiammare ma di certo se si trattava di mali lievi.

Se uno aveva il fegato ingrossato, si facevano bollire le foglie dei carciofi e si beveva l’acqua, stessa cosa si faceva col timo per curare le emicranie o il nervosismo, come pure la camomilla o la valeriana. Qualche mamma poco responsabile portava i neonati piangenti su un campo di papaveri, non quelli nei campi di grano , ma quelli più grandi da oppio e faceva annusare ai bimbi i pistilli dei fiori..ciò per farli ..addormentare ..inconsapevoli che stavano “drogando” i figli con oppiacee, la stessa famiglia delle morfine (!). Se un bambino aveva il “mal di gola” era tutto un corri corri, perché si temeva che la gola si restringesse e soffocasse il bimbo..ciò purtroppo in qualche caso avveniva davvero fino all’invenzione del vaccino antidifterico, infatti non di mal di gola si trattava bensì di difterite…..In questi casi veniva invocato San Biagio con preghiere e giaculatorie, perché, raccontavano le nonne, aveva salvato una bambina che aveva inghiottito una spina di pesce..si prendeva un rametto di rosmarino bagnato nell’acqua benedetta e si toccava la gola del bimbo, ripetendo formule…purtroppo i cimiteri sono pieni di foto di bambini morti fino al 1939 a causa della difterite (Nel 1952 ci furono ancora 30 casi, mentre grazie al vaccino, obbligatorio in Italia fin dal 1968, nel 1989 ci furono zero casi).

Un’altra Santa invocata contro il mal di denti era invece Sant’Apollonia, detta in dialetto “Sande Polinarie”. Anche nel caso del mal di denti non si chiamava il dentista ma il barbiere che si improvvisava curatore di ascessi e carie con metodi alquanto alternativi!

Tra fede e superstizione si abbinava l’occulto con la religione, sempre convinti che a fare il “male” fosse stato “l’occhio” di qualcuno malvagio. Ovviamente l’istruzione ha potuto tanto in tal senso e ha portato la gente a conoscenza di qualche nozione medico scientifica. Con l’aumento del benessere le persone hanno potuto usufruire un pò più agevolmente del medico e ad essere realmente curate. Certo nei Paesi poveri il medico e l’ospedale sono ancora un’utopia e solo i ricchi possono permetterseli, oggi nel 2021.

Con questa riflessione facciamo mente locale che è nostro dovere aiutare i poveri e bisognosi perché ciò che per noi è un diritto acquisito (come la tutela sanitaria) non per tutti oggi nel mondo lo è.

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A sabato!

Susanna Faviani: Giornalista pubblicista dal '98 , ha scritto sul Corriere Adriatico per 10 anni, su l'Osservatore Romano , organo di stampa della Santa Sede per 5 anni e dal 2008 ad oggi scrive su L'Avvenire, quotidiano della CEI. E' Docente di Arte nella scuola secondaria di primo grado di Grottammare.