Fausta Speranza – Vatican News

Fuori da tutte le maggiori città, con la sola eccezione di Kabul: le forze governative afghane continuano a ripiegare. Nel caso di Lashkar Gah i talebani hanno lasciato 48 ore di tempo per permettere a politici e amministrativi di evacuare la città: hanno preso la seconda città piu’ grande dell’Afghanistan, Kandahar, alimentando i timori che il governo sostenuto dagli Stati Uniti possa cadere in mano agli insorti. Nella città non c’è più traccia di esercito e funzionari civili e i talebani si fotografano nella Piazza dei Martiri. Nelle loro mani dunque Lashkar Gah nel sud e Qala-e-Naw nel nord-ovest. Herat, la terza città del Paese, era stata in gran parte conquistata ieri: in mano alle forze governative restano solo l’aeroporto e una base militare, secondo quanto riferisce un dirigente della provincia, Ghulam Habib Hashimo. Il capoluogo della provincia omonima è stato la base della missione italiana in Afghanistan. Dopo il ritiro annunciato  dagli Stati Uniti e dalla Nato, i soldati italiani hanno lasciato la città esattamente un mese fa, il 12 luglio scorso.

Da Washington arriva l’annuncio: 3000 uomini per evacuare il personale statunitense.  Le prime truppe inviate dal Pentagono cominceranno ad arrivare “nel giro di 24-48 ore”, assicura  il portavoce del Dipartimento alla difesa, John Kirby. Sono circa 5.000 tra civili e militari gli statunitensi basati nel complesso dell’ambasciata Usa a Kabul e nella sede vicina all’Hamid Karzai International Airport. E la Nato riunisce in un incontro urgente  gli inviati dei 30 alleati in una riunione convocata per ieri pomeriggio

L’appello Ue per la collaborazione e la tutela delle donne

Da Bruxelles si leva la voce dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Borrell: “Se verrà ricreato un emirato islamico – dice –  i talebani affronteranno il non riconoscimento, l’isolamento, la mancanza di sostegno internazionale e la prospettiva che il conflitto e l’instabilità continuino”.  “L’Ue invita i talebani a riprendere immediatamente colloqui sostanziali, regolari e strutturati – scrive Borrell in una nota – e chiede altresì l’immediata cessazione delle violenze in corso e un cessate il fuoco globale e permanente”.   “L’offensiva militare in corso è in diretta contraddizione con il loro impegno dichiarato per una soluzione negoziata del conflitto e del processo di pace di Doha”, precisa ancora la nota in cui “l’Ue condanna le crescenti violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani, in particolare nelle aree e nelle città controllate dai talebani”. L’Unione Europea “mira a continuare il suo partenariato e il suo sostegno al popolo afghano. Tuttavia, il sostegno sarà – si legge ancora – condizionato a una soluzione pacifica e inclusiva e al rispetto dei diritti fondamentali di tutti gli afghani, comprese le donne, i giovani e le minoranze. È fondamentale preservare i significativi risultati ottenuti da donne e ragazze negli ultimi due decenni, anche per quanto riguarda l’accesso all’istruzione”, conclude la nota.

Il Regno Unito ha autorizzato l’invio di 600 militari in Afghanistan per agevolare l’evacuazione dei propri cittadini e degli ex collaboratori afghani dell’ambasciata. Lo ha comunicato in una nota il ministro della Difesa britannico, Ben Wallace. Le truppe – precisa la nota – forniranno protezione e supporto logistico per il trasferimento dei cittadini britannici dove richiesto e aiuteranno ad accelerare la cosiddetta politica di “ricollocazione e assistenza” afghana. “Ciò contribuirà a garantire che gli interpreti e altro personale afghano che ha rischiato la vita lavorando a fianco delle forze britanniche possano trasferirsi nel Regno Unito il prima possibile”, si legge nel comunicato. “La sicurezza dei cittadini britannici, del personale militare britannico e dell’ex personale afghano è la nostra priorità assoluta. Dobbiamo fare tutto il possibile per garantire la loro sicurezza”, ha dichiarato Wallace.

Anche in Germania c’è apprensione per le 4000 persone presenti ancora in Afghanistan dopo che nei giorni scorsi ne sono rientrate altre 1700. La disamina del ministro della difesa tedesca, Annegret Kramp-Karrenbauer, non lascia spazio a dubbi: “Quello che ci è riuscito in questi vent’anni è stato non esportare il terrorismo fuori dall’Afghanistan” mentre “quello che non ci è riuscito è di fare dell’Afghanistan un Paese diverso, di trasformarlo positivamente nel lungo periodo”.

Dopo una guerra di 20 anni

La storia racconta che il gruppo estremista ha controllato il Paese tra il 1996 e il 2001, fino all’invasione statunitense decisa a seguito degli attacchi terroristici a New York e Washington dell’11 settembre 2001. Si voleva scovare i vertici di al Qaeda, gruppo ritenuto responsabile, al quale i talebani offrivano protezione. In Afghanistan dunque gli Stati Uniti hanno combattuto una guerra di 20 anni, iniziata proprio con il rovesciamento del regime talebano, nell’ottobre del 2001. Nell’ultimo anno, dopo che il governo statunitense aveva annunciato il ritiro delle proprie truppe dal Paese, i talebani sono riusciti a prendere il controllo di circa la metà dei 400 distretti in cui è diviso l’Afghanistan, consolidando la propria presenza soprattutto nelle zone rurali. Nelle ultime settimane hanno iniziato a puntare anche alle città: hanno aumentato la pressione su Mazar-i-Sharif, nel nord, dove fino a non molto tempo fa era impensabile una presenza così forte da parte dei talebani. E hanno iniziato diverse offensive attorno alla provincia di Kabul, la capitale, che si teme possa trovarsi presto assediata dagli insorti con l’obiettivo di costringere il governo afghano alla resa.

Di instabilità e di deriva annunciate parla Daniele De Luca, docente di Relazioni internazionali all’Università del Salento:

I mancati frutti della missione Nato

Lo studioso sottolinea come praticamente tutto fosse stato già previsto: alla notizia del ritiro delle forze internazionali era immaginabile che i talebani riscendessero in campo. L’Afghanistan è un Paese complesso – spiega – con una storia di continue disfatte per chiunque abbia tentato di penetrarlo dall’esterno. Per questi 20 anni di impegno, non si può parlare – dice – di fallimento dell’Occidente ma certamente di fallimento dell’idea di esportare la democrazia, peraltro in Paesi che sfuggono a facili definizioni. In particolare De Luca mette in luce una spetto deludente: è evidente come tantissima gente sia disperata al ritorno del regime dei talebani e come in migliaia e migliaia stiano già tentando di fuggire, ma è chiaro anche come i combattenti stiano entrando nelle varie città, in qualunque zona del Paese, praticamente senza trovare resistenza. Questo significa – afferma De Luca – che purtroppo non ha portato frutto la missione specifica della Nato che era quella di addestrare le forze dell’ordine locali, rendendole autonome.

L’identità dei talebani

De Luca ricorda – tracciando il profilo dei talebani  –  che si tratta dei cosiddetti studenti di teologia delle scuole coraniche che dagli anni novanta si distinguono per le posizini oltranziste. Di fatto hanno avuto un legame fortissimo con Al Qaeda, dai tempi in cui Bin laden si nascondeva in Afghanistan e hanno abbracciato la violenza jihadista. Per capire qualcosa di più De Luca suggerisce di guardare ai  difficilissimi equilibri tra sciiti e sunniti, alla storia regionale di queste espressioni dell’islam. Proprio sapendo chi fossero nel 2001 e chi sono oggi i talebani, De Luca afferma che è davvero difficilissimo immaginare ancora spazi di negoziato o diplomazia, anche se a Doha, gli statunitensi stanno cercando di mobilitare la comunità internazionale – compresi Ue, Cina, Russia, Iran – per convincere i talebani a fermarsi e negoziare una soluzione politica anziché di pura forza. E per la posizione dell’Afghanistan De Luca pensa che sia escluso anche un intervento, un interessamento diretto da parte di potenze come quelle di Iran, Russia e Turchia che si sono mosse per la Siria.

Sullo sfondo il ritiro degli Stati Uniti

Le forze internazionali  – come abbiamo detto – stanno completando il ritiro dopo 20 anni di guerra. L’accordo sul ritiro è  stato raggiunto nel febbraio dello scorso anno, dopo estenuanti trattative tra talebani e l’amministrazione statunitense dell’allora presidente Trump. Il governo afghano non è stato coinvolto in quelle trattative. Poi il presidente Joe Biden ha annunciato che sarebbe stato completato entro l’11 settembre 2021.

Onu, il dramma degli sfollati: la fame e l’insicurezza

In tutto questo le donne ed i bambini stanno pagando il prezzo più alto del conflitto. Lo ha rimarcato con forza oggi l’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati. “Circa l’80 per cento degli afgani, costretti a fuggire dalla fine di maggio, sono donne e bambini”, ha detto a Ginevra la portavoce dell’Unhcr Shabia Mantoo e per il Programma alimentare mondiale (Pam), la situazione ha tutte le caratteristiche di una catastrofe umanitaria. “Il bilancio umano delle ostilità è immenso”, ha detto Mantoo. La Missione di assistenza delle Nazioni Unite ha avvertito che senza una significativa riduzione della violenza, l’Afghanistan rischia di registrare il più alto numero di vittime civili documentate in un solo anno. “Circa 400.000 civili sono stati costretti a lasciare le loro case dall’inizio dell’anno, sommandosi ai 2,9 milioni di afghani già sfollati all’interno del Paese alla fine del 2020. Un afghano su tre è oggi gravemente insicuro dal punto di vista alimentare e circa 2 milioni di bambini hanno bisogno di cure nutrizionali”, ha detto il portavoce del Pam, Tomson Phiri. “Il Paese è stato colpito da un secondo episodio di siccità in quattro anni e si prevede un raccolto inferiore alla media”, ha ammonito. Temiamo che un’ondata di fame più grande si stia avvicinando rapidamente”..

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