di Pietro Pompei

A tirar fuori le notizie dai telegiornali, sembrano proprio bollettini di guerra. I morti sono ormai la componente maggiore di ogni giorno. E se poi non bastano i nostri, ci sono quelli degli altri che, per dirli più in fretta, sono indicati a numeri. Da noi il coltello la fa da padrone. Una volta il coltellino che portavi in tasca con il manico di celluloide, lo misuravi con le quattro dita e il superarle si rischiava di grosso; oggi, in cui si fa spreco di parole d’amore, la lama ti arriva fina al cuore e basta un colpo solo che si rimane con un interrogativo a fior di labbra. Sono sempre lì i coltelli da soprammobile a mettere in difficoltà gli investigatori, se sia stato uno o più a fender colpi, riportati con meticolosità numerica a gioia di chi è solito giocarli al lotto. Sembrava finito l’assalto alla baionetta, ma almeno lì sapevi di rischiare in proprio; oggi il risultato è lo stesso, solo che il nemico non sta nella trincea avversaria, spesso è il condomino con il quale ci si incontra in ascensore, o il compagno che ti hanno accomunato fino a poco prima, la musica e le lampade psichedeliche.

A volerle dare un nome che ne possa esprimere i connotati, mi sembra abbastanza vicino al vero, di chiamare la nostra “l’era della morte”, non perché, se andiamo a dar di conto, è più cruenta di tante altre, solo perché ci lascia indifferenti. Siamo capaci di parlare di impiccagioni, di dissertare di nodi scorsoi, di persone che si squagliano tra le macerie delle case, di altre impietosamente esposte, sentenziando sulla loro fine, mentre siamo seduti tranquillamente, di fronte ad un bel piatto di pastasciutta fumante o alla dolcezza saporita di una fetta di prosciutto. Convivere con la morte nella più assoluta indifferenza? È a dir poco, anche se è cosa di altri.

Questa umanità è proprio tutta da buttare? È certo che tutte queste notizie fanno rumore, le altre, quelle che potrebbero darci speranza, nessuno se le procura. Dell’adolescente che mette fine ai sogni di un suo coetaneo per uno sgarbo, con un colpo di coltello ben assestato, son piene le pagine; non troverai mai i nomi dei tanti Giovanni, dei Roberto,etc… di tutti quei giovani che passano il tempo libero ad usare il coltello per sminuzzare la carne al vecchietto a cui i denti hanno fatto sciopero. I giovani non sono solo quelli che il sabato sera danno lavoro alle imprese funebri o vanno inebetiti dietro alla droga; sono anche quelli, per fortuna ancora numerosi, che cantano alla vita, che ti contagiano con la voglia di una felicità vera che non va inseguita, ma vissuta.

I Giochi Olimpici hanno ridato ali alla speranza, costretto per gli anni e i limiti della vecchiaia e la solita pandemia a rimanere a casa, ho seguito molti Giochi trasmessi dalla televisione, specialmente quelli dove erano presenti i nostri atleti e atlete. Ho partecipato con urla e applausi, poi, al termine di ogni competizione, ho lasciato spazio ad una riflessione. La presenza italiana questa volta è stata veramente numerosa, con giovani di tutte le regioni e di altri popoli integrati.

Nell’educazione civica, tanto sollecitata a scuola, occorrerà aggiungere foto e capitoli di questi episodi e togliere le tante paure che si riversano nelle famiglie.

Certo se ci fosse stata anche la presenza di qualche atleta del nostro Piceno il mio interesse sarebbe stato maggiore. Mancano le strutture, mancano i giovani? Una città come S.Benedetto, cresciuta con il mare, non riesce ad esprimere nessuno nel nuoto? Se ripenso alle gare da una punta e l’altra del porto e ai tanti giovani che si cimentavano specie nel periodo estivo, mi tornano in mente nomi che finivano sulla stampa a gloria della nostra città. Molte strutture le abbiamo specie in alcune discipline, manca la partecipazione perché manca l’entusiasmo. E manca l’entusiasmo perché manca una sana educazione allo sport che crea una mentalità. Non basta correre dietro alla Samb (che resta nei nostri cuori) e non certo alla maniera con cui la cronaca giornaliera ci informa. Per quanto riguarda l’Italia abbiamo assistito in Giappone alla crisi delle nostre squadre cui si riponeva fiducia, mentre nell’atletica c’è stato un fiorire di medaglie. Abbiamo ritrovato in questa lo stesso linguaggio di solidarietà, di condivisione, di amicizia, di rispetto che ha reso possibile alla nostra Nazionale di calcio di vincere la Coppa Europea.

Fra un paio di mesi andremo alle urne per le elezioni Amministrative. Circolano tanti nomi e tante promesse a voce. Mi permetto di suggerire un programma serio con l’impegno di realizzare ambienti in cui gli adolescenti e i giovani possono socializzare e scoprire valori che danno senso alla vita. Eviteremo così che si picchino continuamente in piazza. Occorrono strutture efficienti  e idonee dove impegnarsi e mostrare le proprie capacità. Promoviamo un nuovo stile di vita a cui non si debba continuamente appendere il cartello “ È in restaurazione”.

 

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