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Quei cubani cattolici che dagli Usa pregano per i giovani che si ribellano

di Maddalena Maltese

NEW YORK – Da quando le proteste sono cominciate si ritrovano online da Tampa, Orlando, e da altre città della Florida, ma anche da Atlanta in Georgia e da New York; ogni sera alle nove. Pregano per Cuba, pregano per la loro terra e per gli amici e i parenti scesi in piazza a protestare per la fame, per la sete di libertà, per quel mondo che internet ha avuto la capacità di mostrare diverso dalla narrativa del governo.
Maria è economista, ma prima di tutto è una cattolica che quattro anni fa, grazie al lavoro del marito è arrivata negli Stati Uniti e ci è rimasta. Con lei la mamma, anziana e bisognosa di cure che sull’isola sarebbero state impensabili.Maria è stata formata alla fede durante la persecuzione, da una generazione di vescovi che non temeva di affrontare gli agenti di Fidel Castro o dello stesso Raul quando qualcuno della parrocchia veniva maltrattato o spariva senza ragione.È lei l’anima della preghiera notturna dei cubani-statunitensi che accompagnano a distanza quanto si vive sull’isola.
“Ce lo aspettavamo. Sapevamo che sarebbe successo e sapevamo che a prendere le redini di queste proteste sarebbero stati i giovani”, spiega Maria aggiungendo che Internet ha messo in crisi il sistema e il mondo che pretende di costruire. Proprio per questo la rete è stata immediatamente bloccata e nessuno ha potuto accedere a Facebook o Twitter per postare foto e video, come nel primo giorno di protesta quando il mondo ha saputo che la “gente è stanca, ha fame e chiede il cambiamento”.

Mentre lei racconta è naturale pensare all’embargo e alle conseguenze per il suo popolo, ma Maria interrompe immediatamente questa spiegazione “occidentale” e si augura che l’embargo venga tolto, non tanto per risollevare il suo popolo, ma per mostrare la fallimentare politica economica del governo. “Sono così occupati a mantenere l’immagine del governo, a reprimere qualunque altra posizione che hanno lasciato andare l’economia in malora, senza prendere alcun provvedimento”. Lo stipendio medio di un cubano è tra i 25 e i 30 dollari al mese, ma se sei un medico puoi arrivare anche a 50-60 dollari. Il cibo da acquistare è regolato da una tessera che per ogni cubano prevede circa 2,3 chili di riso, circa 3 chili di fagioli, un chilo e 800 grammi di zucchero, 4 uova, un pezzo di pollo, una porzione di carne mescolata a soia, una pagnotta di pane e per i bambini più piccoli di 7 anni anche un po’ di latte. Gli extra, come la quantità di latte necessaria ai bambini o qualche fettina di maiale si possono comprare nei pochi negozi privati autorizzati dal governo o al mercato nero. Acquistare cibo dai piccoli empori privati è sempre un rischio poiché si potrebbero fornire informazioni sul tenore di vita ad agenti del governo che lavorano in quei negozi o che vengono informati sui clienti che li frequentano.

Spiega ancora Maria: “I cubani chiedono solo la libertà da un governo che li schiaccia. Chiedono di poter decidere sul futuro, di poter aprire un piccolo negozio o un’attività e con quella sostenere la famiglia. Chiedono di poter vivere del proprio lavoro”.

L’economista che è in lei fa un’analisi lucida della situazione e la donna invece raccoglie storie e consola. Una sua parente, ad esempio, pur ricevendo il massimo dei voti all’università e avendo per legge la facoltà di scegliere dove lavorare è stata invece minacciata, aggredita e perseguitata da esponenti governativi, perché durante gli anni universitari si è rifiutata di partecipare alle marce del governo e a firmarne i proclami politici. Alla richiesta di spiegazioni si è sentita rispondere: “Non sei una studentessa integra, non sei degna degli studi che ti vengono offerti”. Appena ha potuto anche lei è fuggita in Messico e da lì spera di passare negli Usa, come rifugiata.
“Dopo le proteste è cominciata la repressione, soprattutto dei giovani leader delle chiese. Sono andati a prendere a casa la figlia di un mio amico, con un cordone di polizia destinato ad un delinquente e non ad una giovane di 24 anni. L’hanno portata via senza dire dove sarebbe stata condotta. Il sacerdote e i genitori si sono recati in tutti i commissariati della provincia per trovarla. Ci sono riusciti ma non gli è stato permesso di vederla e di offrirle del cibo, mentre gli agenti hanno detto che si riservavano 72 ore prima di decidere un verdetto”.

Il racconto di Maria è accorato. Mostra la foto della giovane. Teme quelle 72 ore perché sa che potrebbero essere ore di tortura. “Non fisica, ma psicologica”, spiega. “Ti sottopongono ad interrogatori sfibranti, ma soprattutto ti mostrano che tutta la tua vita è sotto controllo, anche i momenti più privati. Da un commissariato, se non si sparisce per sempre, non si esce più gli stessi. Chiunque abbia aderito ad una protesta e viene torturato, viene trasformato in un adepto al minimo o si chiude per sempre nel silenzio”. Non vuole aggiungere di più, ma dietro ogni parola ci sono i volti di amici, colleghi, parrocchiani che non sono mai tornati alla normalità. Oltre agli arresti senza tregua, il governo, negli ultimi due giorni, ha inscenato una manifestazione di sostegno al suo operato e due giorni fa per le vie de L’Avana c’era oltre 100.000 persone. “Alcuni sono convinti, altri partecipano perché temono di perdere il lavoro e a chi vive in periferia viene pagato il viaggio dalle periferie e offerta una merenda per convincerli a sfilare”.Maria auspica un dialogo, spera che anche queste proteste non siano un fuoco di paglia e si augura che i vescovi guidino questo processo “senza lasciarsi tentare dalle promesse del governo sulla libertà di culto o sul possibile restauro di una chiesa. Serve il Vangelo di Gesù che sa essere forte e allo stesso tempo sa essere capace di riconciliazione”. Concludiamo l’incontro con una bella notizia. La giovane ragazza in prigione è stata rilasciata e con lei anche un’amica.

 

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