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Rubrica “Pausa caffè”: La festa tradizionale di San Paterniano Patrono di Grottammare

Tra pochi giorni a Grottammare si festeggerà il Santo Patrono “Paterniano”. Sorseggiando il caffè ci viene ancora una volta in mente: Ma perché Paterniano? Cosa c’entra questo Santo fanese con la cittadina rivierasca?”. Ce ne parlò nella sua “Guida” del 1889 Giuseppe Speranza, l’avvocato con la passione per la storia e la cultura che tanto fece per Grottammare, compresa l’edificazione del grande edificio in mattoni della Scuola Primaria che oggi porta il suo nome, vicino alla strada statale. Dunque un Santo Vescovo e anche di Fano, vissuto durante la “persecuzione” cristiana di Diocleziano che spesso nelle agiografie viene tirata in ballo anche in modo sovrabbondante quando non si conosce nulla della vita di quel Santo o di quel Martire.

Esisteva a Grottammare un “villaggetto” o Pagus appena sottostante il piazzale della chiesa dell’Oasi Santa Maria dei Monti. Era quello il primitivo insediamento abitativo di Grottammare. Il secondo nucleo era presso la chiesa di San Martino al Tesino. Vi era effettivamente sul colle di Grottammare una chiesetta dedicata a tale Santo, forse quattrocentesca, ormai diruta – ma eretta su struttura tipica basilicale romana, dove per “basilica” intendiamo un edificio pubblico di natura legale, un tribunale in pratica. Una basilica curiale? Una semplice domus? Ne ha trattato uno studioso moderno, Carminio Spinucci architetto in un libro, “Grottammare e il Cuprae Fanum” di qualche anno fa, ritrovando anche l’esatta planimetria della “Curtis Sanctis Patregnani” ( pagg. 21-29). Nella chiesa di Sant’Agostino vi è una epigrafe dove in un latino volgare, quindi tardo è scritto: “Qui riposa il corpo del Beato Paterniano” (Hic r.quiescit/ Corp.s/ B.ti /Pat.njani”, epigrafe questa che venne traslata dalla diruta chiesina di San Paterniano, rasa al suolo, a Sant’Agostino. Dunque a Grottammare era venerato intorno al XIV- XV sec. (All’incirca) un Beato, non un Santo, quindi siamo certi che si tratti della stessa persona? Non è un Santo Vescovo di Fano, ma uno sconosciuto. Qui si innesta la proposta suggestiva dello Speranza che scrisse che in realtà vi fosse in loco un cenobio di monaci, ma che sotto le mentite spoglie, poi “aggiustate” con la cristianizzazione, si celasse invece un culto al “Pater Janus”, in pratica a Giano Bifronte, divinità protoitalica del passato dove “Jano” deriva da “ianua”che in latino significa “porta”, “passaggio”, chiamato anche “Janus Pater”, cioè “Giano padre”, dicevamo antichissima divinità italica picena, legato al ciclo naturale della raccolta e della semina e citato da Sant’Agostino nel suo “De Civitate Dei” ( VIII,9) come “Inizio di tutti i culti e di tutti gli dei”. Infatti nella tradizione popolare si dice che se quando passa in processione il Santo si arrabbia, allora farà grandinare oppure consentirà belle giornate di sole. Gli anziani dicevano che a mezzogiorno del 10 luglio si dovevano sparare 3 sonori botti verso il cielo dal tetto della chiesa di San Martino per “salutare” il Santo, altrimenti avrebbe fatto grandinare.

I nonni favoleggiavano di incredibili grandinate a luglio proprio perché “San Patrignà” si era “incanito”, cioè arrabbiato perché non ben festeggiato. La processione prevedeva un viaggio del simulacro del Santo Patrono dal paese alto a San Martino e viceversa e in questo “percorso” di ogni santo patrono, vi è la storia della comunità, tramandata in via orale, dunque due nuclei: il primo nei pressi dell’Oasi Santa Maria dei Monti e un altro “pagus” presso la chiesa di San Martino, piu’ a sud. Intanto che parliamo, il caffè è finito e anche il bicchiere d’acqua che lo correda. Riflettiamo che la fede in Dio è ben altro, ma col sorriso è bello tramandare e ricordare le nostre origini che affondano nella notte dei tempi.

Un vescovo che fece salvare in epoca illuminista le numerose lapidi epigrafiche ed elementi architettonici rinvenuti nei pressi della chiesa di San Martino disse che il raccogliere e il non distruggere questi frammenti archeologici non doveva servire per mantenere le vane superstizioni …“sed ad fidem Historiae”, cioè non doveva essere finalizzato a tramandare le superstizioni pagane, ma alla “Fedeltà Storica”. Aspettiamo i vostri interventi ricordando la mail: susanna.faviani@gmail.com o il numero wapp di redazione : 3711715065. Al prossimo sabato con un’altra novità!

Susanna Faviani: Giornalista pubblicista dal '98 , ha scritto sul Corriere Adriatico per 10 anni, su l'Osservatore Romano , organo di stampa della Santa Sede per 5 anni e dal 2008 ad oggi scrive su L'Avvenire, quotidiano della CEI. E' Docente di Arte nella scuola secondaria di primo grado di Grottammare.