Stato di anarchia, retate e uccisioni sommarie, gente in fuga nella giungla. Campi abbandonati. Chiese e monasteri deserti. Quello che si temeva, è diventata realtà: in Myanmar è guerra civile, tra l’esercito della giunta militare (conosciuto con il nome di “Tatmadaw”) e le forze di resistenza popolare. Le situazioni più critiche si registrano negli Stati del Kachin, Kayah e Karen dove il colpo di Stato del 1 febbraio ha riacceso conflitti e ferite mai del tutto sanate. “Da quando la guerra è arrivata in città nello Stato di Kayah, dal 21 maggio, nessun luogo è sicuro, specialmente nelle zone di combattimento”, scrive al Sir padre Francis Soe Naing, dalla diocesi di Loikaw. “Le persone fuggono ogni giorno lasciandosi alle spalle le proprie case e i propri averi”.
Sulla loro pagina Facebook, anche i gesuiti del Myanmar lanciano una drammatica denuncia. “Senza una ragione apparente, i soldati hanno ucciso a colpi di arma da fuoco un volontario nel pre-seminario maggiore di Loikaw, in Myanmar, e hanno perquisito ogni stanza del seminario”. La gente che non si sentiva al sicuro nelle proprie case, è arrivata nei conventi e nel seminario per trovare rifugio, ma “i soldati hanno ucciso una persona innocente e i preti non hanno potuto fare nulla per impedire ai terroristi di farlo”. Nel dare la notizia, i gesuiti aggiungono un post-scriptum inquietante: “I soldati (senza permesso) hanno anche mangiato il cibo che l’uomo ucciso ha cucinato per gli sfollati”.
Domenica 30 maggio, nella solennità della Santissima Trinità, in tutte le cattedrali e parrocchie del Myanmar si è levata una speciale preghiera per la pace in Myanmar. A lanciare l’iniziativa è stato il cardinale Charles Bo, presidente dei vescovi birmani che dalla cattedrale di Yangon ha lanciato l’ennesimo grido di dolore: “Negli ultimi quattro mesi, questa nazione ha subito enormi sofferenze. Anche ora le persone di Mindat (nello Stato del Chin, n.d.r.) e Loikaw (nello Stato del Kayah, n.d.r.) sono ammucchiate nella giungla dopo che la violenza li ha costretti a fuggire. In migliaia sono sfollati feriti e affamati. Di fronte alle sofferenze e alle lacrime del nostro popolo, quale può essere il messaggio della Santissima Trinità? La Trinità insegna un grande concetto: il vero potere è l’Amore. Non la dominazione”. L’arcivescovo ha però voluto lanciare anche un messaggio di speranza. “Sono momenti bui”, ha detto. “Nei momenti bui della storia, la Trinità è intervenuta direttamente nell’umanità. Il Dio d’Israele chiamò Mosè a liberare il suo popolo dalla schiavitù soffocante in Egitto. Dio è il Liberatore delle vittime dell’oppressione. Dio opera attraverso di noi. Come ci ha esortato il Papa: proprio quando sembra che il male vinca, dobbiamo mantenere la fede e l’unità e rispondere alle vittime del male.Sì, quando il male ci minaccia, la risposta non è il silenzio, non è il ritiro nella nostra salvezza. Gesù dice ai suoi discepoli: Andate. Dobbiamo andare laddove la violenza ha spezzato le famiglie in questo paese, ha versato sangue, ha costretto migliaia di persone a fuggire nelle giungle”.Anche oggi, ha quindi detto il cardinale, i cristiani sono chiamati a “rimuovere le catene dei prigionieri incatenati ingiustamente”, a condividere “il cibo con tutti coloro che hanno fame” e “la casa con i poveri e i senzatetto”. “Questo porterà guarigione alla nazione”. Domenica 30 maggio, si sono levate preghiere per il Myanmar anche nelle Filippine e dalla Cambogia, padre Bruno Cosme, amministratore apostolico della prefettura di Kompong Cham ha espresso parole di vicinanza e solidarietà in un video messaggio ripetendo quanto ha detto il cardinale Bo: “la pace è possibile, la pace è l’unica via”.