Andrea De Angelis – Vatican News

Da una crisi come quella legata alla pandemia non usciremo come prima, ma potremo essere migliori o peggiori. In più occasioni Papa Francesco ha ripetuto al mondo questo messaggio, carico di speranza e al tempo stesso monito verso un comune senso di responsabilità. L’Italia, primo Paese in Europa ad optare per il cosiddetto “lockdown nazionale” il 10 marzo 2020, ad un anno di distanza vede l’avvio di nuove misure restrittive per fermare l’impennata dei contagi registrati a partire dalla fine di febbraio 2021. Secondo quanto stabilito dal neo Governo Draghi, permangono le differenze su scala regionale, ma i nuovi parametri legati all’Rt fanno diventare “rossa” una regione superando quota 1,25. Da ieri, lunedì 15 marzo, praticamente mezza Italia si tinge di rosso e l’altra di arancione, ad eccezione della Sardegna, unica zona bianca a livello nazionale.

Zone rosse ed arancioni

Genitori al tempo della pandemia

La didattica a distanza riguarda milioni di studenti e le loro famiglie. Genitori chiamati a divedersi tra lavoro e scuola, in uno scenario impensabile fino ad un anno fa. I problemi sono molteplici: mancanza di tempo, sovrapposizione di appuntamenti, ed ancora disponibilità di strumentazioni indispensabili per poter studiare e lavorare da casa. Senza dimenticare la suddivisione degli spazi all’interno di un’abitazione. Antonella ha 43 anni, vive a Roma ed è dirigente di una nota multinazionale. Lavora da casa, dove vive con il marito e due figli. Uno frequenta le elementari, l’altro l’asilo. Da ieri nuovamente a casa. “Torniamo ad un anno fa, ma con sentimenti diversi: meno stupore e più stanchezza. Io mi sento fortunata perché ho avuto il privilegio di lavorare in smart working durante tutta la pandemia. Allo stesso tempo da mamma di due figli ribadisco quanto sia difficile conciliare otto ore di lavoro e di riunioni on-line con la gestione della casa, della DAD e dei bimbi piccoli abbandonati a loro stessi”. Gli interrogativi non mancano: “Come sopravvivere? Pensando che queste restrizioni sono necessarie, la salute era e resta il bene più prezioso. Quindi affronteremo ancora una volta tutto questo con coraggio e positività, per noi stessi e per i nostri figli”. Licinia ha 35 anni, lavora in un supermercato romano, così come il marito. Genitori di un bambino di 3 anni, la salvezza è nei nonni. “Grazie a loro riusciremo ad andare avanti, queste nuove chiusure sicuramente destano preoccupazione soprattutto a noi mamme. Il nostro lavoro ci impedisce di spostare le mansioni quotidiane a casa. La speranza è nei vaccini, contiamo che arrivino presto”.

I docenti

I problemi riguardano anche coloro che sono chiamati a gestire una situazione senza precedenti avendo la responsabilità di intere classi di alunni. Francesco è un docente di Scienze al Liceo Artistico Statale Argan di Roma. Da un anno è stato chiamato, come centinaia di migliaia di suoi colleghi in Italia, a reinventarsi un lavoro che è anche vocazione e missione. Insegnare al tempo della pandemia non è semplice, ma è vietato più che mai sbagliare. “Ripiombare in questa situazione genera smarrimento, ma dobbiamo farci forza. La didattica a distanza più o meno collaudata in questi mesi ha numerose difficoltà, ma deve essere intesa come un’occasione dagli studenti perché con il coronavirus, diciamo così, c’è poco da ragionare”. L’entusiasmo non deve mai mancare. “Il contatto umano lo sappiamo bene, è indispensabile quando si parla di scuola, di pedagogia. Possiamo dire che è il 90% del nostro quotidiano. Impossibile pensare alla didattica senza di esso, eppure dobbiamo andare avanti con gli strumenti che abbiamo e che possono farci raggiungere traguardi importanti. La Dad è una risposta all’emergenza, i ragazzi – conclude – devono cogliere in noi docenti lo stesso entusiasmo di sempre. Come se fossimo in presenza, sui banchi di scuola”.

Il mondo dello spettacolo e dell’informazione

Chiara ha 28 anni, è una truccatrice cinematografica e per lei i tamponi sono all’ordine del giorno. Si ritiene fortunata, perché a differenza di altri colleghi che lavorano nel mondo della cultura e dello spettacolo ha avuto meno conseguenze negative dalla pandemia. “Da giugno 2020 abbiamo ripreso a lavorare, la richiesta per le piattaforme on-line è cresciuta molto, addirittura lavoriamo in alcuni mesi più degli anni passati a differenza di colleghi che operano nel mondo del teatro o della musica”. Richiudere per lei è corretto. “Credo che fermarci ora per ripartire più forti domani sia la scelta giusta, l’importante è che si faccia bene e duri il tutto poche settimane. Confido nei vaccini, mi auguro che anche lì ci sia un’accelerazione”. Sulla campagna vaccinale accelerata si concentra anche la riflessione di Camillo, 23 anni, giornalista televisivo che ai nostri microfoni racconta di come le presenze nella sua redazione siano ormai ridotte al minimo. “Continuo a lavorare anche oggi come nei mesi passati, ma siamo sempre meno in presenza perché i colleghi della carta stampata sono dislocati. Rivedere Roma in zona rossa oggi è davvero come tornare indietro nel tempo, alla primavera scorsa. Speriamo tutti nella nuova campagna vaccinale, da parte nostra continueremo a raccontare la politica dalla strada”.

Generazioni a confronto

Settant’anni separano le ultime due voci raccolte in questo primo giorno di nuova zona rossa a Roma. Giuseppe ha 76 anni ed è un docente universitario in pensione. Si recherà alla Nuvola all’Eur, centro nevralgico per la vaccinazione Covid-19 della capitale, per ricevere la prima dose del siero Astrazeneca. “Avrò una nuova speranza, tanto attesa. Spero che qualcosa cambi dopo un anno vissuto sempre con la paura di sbagliare qualcosa. Il pensiero va alle tante persone che ancora non possono vaccinarsi e che dovranno aspettare settimane o mesi per farlo”. La sua riflessione è ancorata alla realtà: “Parliamo di sopravvivenza. Per noi pensionati più legata alla salute, per tanti giovani anche al lavoro. Tanti pensieri brutti si trovano nelle nostre teste, spero dopo il vaccino di averne meno e mi auguro che questa condizione riguardi al più presto tantissime persone come me”. Alessandro è un alunno delle scuole elementari, da oggi nuovamente alle prese con la didattica a distanza. “Diciamo che non è come andare a scuola, ci vuole tanta immaginazione, ma è bello”, spiega. Poi racconta cosa significa vivere al tempo della pandemia e lo fa in modo molto pratico: “Bisogna mettere la mascherina, lavarsi sempre le mani e mantenere la distanza”. Infine un pensiero alle maestre: “Grazie per tutto quello che fate”.

 

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