Di Patrizia Neroni e Nicola Rosetti

DIOCESI – Riportiamo di seguito il testo dell’omelia tenuta il 16 febbraio da don Giorgio Carini in occasione del VII anniversario dall’inizio dell’Adorazione Eucaristica Perpetua presso la chiesa di Sant’Agostino in Grottammare: «In questo giorno ricordiamo i sette anni da quando il Signore ci ha dato la grazia di poterlo adorare giorno e notte. In questi sette anni, nemmeno nel periodo più intenso del covid, è cessata questa adorazione. Di questo lo ringraziamo: non per i nostri meriti, ma per la sua Misericordia e per il suo Amore al quale vogliamo rimanere fedeli. Intorno a noi c’è l’oscurità e quante volte essa prende il sopravvento nella nostra vita e nel nostro cuore. Le fatiche e le prove che la vita in questi giorni ci riserva sono ancora più dure: quante persone care intorno a noi, anche vicine, soffrono oppure le abbiamo proprio perse! 

Se adoriamo il Signore è perché imploriamo che la luce che Lui è venuto a portare possa risplendere innanzitutto in noi per rischiarare le tenebre della nostra vita. La luce è venuta nel mondo, ma il mondo non l’ha voluta accogliere. Con l’Adorazione invece noi vogliamo accogliere e amare la luce di Cristo. Ecco perché lo adoriamo notte e giorno e la grazia di questa presenza è così viva che l’adoriamo in silenzio, perché vogliamo permettere a Dio di parlarci. Dobbiamo far sì che la grazia di questo dono si dilati sempre più nella nostra vita, facendo eco alle parole di Gesù: “Sono venuto a portare il fuoco su questa Terra e come vorrei che fosse già acceso”. Gesù parla del fuoco del Suo amore e questa è la luce per noi: affinché ci sia luce occorre un fuoco e questo fuoco è proprio l’amore di Cristo per ciascuno di noi. 

Potremmo dire che il pane eucaristico è l’amore di Dio che ci è donato in pienezza. L’adorazione perpetua potrebbe sembrare un gesto inutile, potrebbe sembrare che la Chiesa abbia bisogno di altro, di un impegno più profondo, di una dedizione più totale, ma noi esprimiamo tutta la nostra povertà e con dolore sincero riconosciamo che senza Dio non possiamo far niente. Questo è il motivo per cui veniamo qui in ginocchio ad adorarlo e ad  amarlo, chiedendogli aiuto per la nostra vita. 

“Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Veniamo qui ad adorare questo Pane della vita che è Cristo stesso. In questi mesi sono stato edificato dal vedere quanti adoratori vengono qui a riconoscere Cristo vivo e presente. Questa presenza diventa palpabile attraverso quel silenzio così denso che non è un vuoto di parole, ma è la pienezza della presenza di Cristo. Basta questo, inginocchiarsi davanti a Lui per riconoscerlo vivo e presente e mettere tutta la nostra povertà davanti a Lui. Questo spalanca l’esperienza viva di una Misericordia, di un amore che sostiene la nostra vita. 

Con il covid eravamo preoccupati perché con le varie norme non si poteva uscire dal proprio Comune per andare in un altro e invece è accaduto che nei periodi più “stretti” qui l’Adorazione si è retta con la presenza dei soli adoratori di Grottammare, che si sono moltiplicati. Ancora adesso, quando c’è il coprifuoco, una coppia viene qualche minuto prima delle 22:00 per non violare le norme e rimane qui in chiesa fino alle 5:00 del mattino per ben sette ore! È commovente vedere che rimangono qui al freddo e pensare che in passato spesso ci si lamentava in inverno del freddo e in estate del caldo. Forse il covid ora ci ha insegnato a non lamentarci e a confidare di più in Dio. Questi adoratori vengono, portano con loro sedie, abbigliamento da sci, coperte, plaid, il termos e rimangono in chiesa tanto tempo. Vediamo in loro un atteggiamento simile a quello dei Padri della Chiesa, come anche dei primi monaci.

Infatti i primi monaci, da sant’Antonio in poi, per non cadere nel sonno la notte, si mettevano prima in ginocchio, poi si alzavano in piedi e pregavano. Allo stesso modo fanno tanti adoratori: per non addormentarsi si mettono a camminare. Ma hanno una pace infinita e il Signore merita questo amore! Dobbiamo tornare ad amare Cristo, viviamo in una Chiesa che non lo ama più, perché spesso la nostra fede è come quella dei tifosi, è come una fede calcistica, piena di fervore: faremmo tutto per la nostra squadra, anche se questo non tocca il cuore. L’adoratore è invece commosso dall’amore di Cristo, commosso fino a gettarsi in ginocchio in lacrime. Quante volte ci pensiamo? Quell’ostia è Lui vivente, è Cristo vivo davanti a noi, come possiamo ammirare nei miracoli eucaristici, questo dono di Dio che pesa più dei trattati di teologia. È Cristo vivente, nel Suo corpo risorto perché incorruttibile, ma nello stesso tempo questo corpo soffre. 

Gli anatomopatologi hanno visto dalle analisi effettuate che l’ostia del miracolo eucaristico di Legnica (Polonia) è parte del muscolo cardiaco del cuore di Gesù e il gruppo sanguigno è lo stesso di quello rintracciato sulla sindone e in altri miracoli eucaristici: questo mi commuove sempre quando prego l’Eucaristia nell’adorazione, perché riconosco che lui è vivo davanti a noi, che il suo cuore palpita ed è sofferente perché è come se avesse subito un trauma. Allo stesso modo, il professor Zugibe, grande professore di anatomopatologia, davanti ai risultati condotti sul miracolo eucaristico di Buenos Aires si chiedeva: “Come avete fatto a prelevare il tessuto da un cuore vivente?”. Quel cuore vivente è Cristo! Preghiamo Dio perché ci doni la fede per saperlo riconoscere vivo e presente, perché dilati nei nostri cuori quell’abbraccio d’amore che sgorga dall’Eucaristia. 

È bello vedere come i miracoli eucaristici mostrino che nell’ostia c’è anche il sangue di Cristo, quello stesso sangue che egli ha versato per amore nostro. Mentre guardiamo le sofferenze di Cristo, si spalanca davanti a noi la Quaresima, tempo preziosissimo per la nostra conversione, tempo di grazia. Cristo si offre per amore e chi ama sa che si è pronti a soffrire per la persona amata. Nell’Eucaristia c’è questo amore che si dona fino a donarci la vita, perché Cristo eterno Dio, immortale, muore per dare a noi mortali la sua vita: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. 

Lasciamoci guidare in questo cammino da questo miracolo che Dio ci ha donato in questi sette anni durante i quali ho visto crescere la fede tra noi con questo gesto così semplice, ma così vivo e profondo. Dio si commuove davanti ad un gesto così gratuito, perché capite che venire a fare l’adorazione non significa riempire la sala di gente, nessuno ci batte le mani, ma è un gesto umile e totalmente gratuito, pienamente compreso solo da chi ama veramente. L’adorazione è proprio questo: gli innamorati lo sanno che i gesti di amore più belli sono quelli gratuiti e semplici, che nascono dal profondo del cuore. Adorazione silenziosa notte e giorno. Niente di sontuoso, ma un amore commosso davanti a Cristo. Dobbiamo tornare a Dio con tutto il cuore, con uno spirito vivo di preghiera. Solo Dio ci può aiutare ad amarlo veramente, senza Dio non riusciremo ad amare nemmeno noi stessi, figuriamoci gli altri. 

Quando veniamo ad adorare, come in ogni Messa, impariamo a portare noi stessi con le nostre croci, con le persone sofferenti, con i malati, con gli agonizzanti, ma, con la grazia della fede, tutto si trasfigura in un pace infinita. Cadere in ginocchio significa anche riconoscere davanti a Dio che siamo schiacciati dalle nostre croci, come anche Lui è caduto. Tutte le nostre angosce poniamole davanti all’altare. L’altare nella tradizione della Chiesa, così come anche nell’Antico Testamento, aveva davanti a sé un fuoco, quel fuoco è l’amore di Cristo che brucia tutte le nostre miserie e le fa diventare un sacrificio gradito a Dio. 

Santa Faustina raccontava a Gesù le sue preoccupazioni ed egli le rispondeva: “Smetti di pensarci”, perché è così facile fermarsi a pensare ai nostri problemi e perdere tempo prezioso. Si rischia che diventi una “malattia”. Noi adoratori veniamo qui e diciamo a Gesù: “Siamo stanchi e oppressi”. Gesù non ci ha mai chiesto di andare a Lui perché siamo bravi, impegnati, perfetti. Dio non sa che farsene delle nostre perfezioni e ci ripete continuamente: “Venite a me voi che siete oppressi”. Non ci dice che metterà tutto a posto nella nostra vita, ma ci dice che trasformerà le nostre angosce in grazia. Lasciamo fare a Dio e confidiamo in lui. Vi ho già parlato della giaculatoria di don Ruotolo, santo sacerdote del quale è in corso la causa di beatificazione. Lui ripeteva sempre: “Gesù pensaci tu”. Riscopriamo l’umiltà, preghiamo per la nostra conversione, preghiamo perché possiamo amarlo con tutto il cuore, perché il fuoco del suo amore che divampa nell’eucarestia, dimori in noi».

 

 

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