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Balcani. Kosovo al voto, un’occasione per lasciare alle spalle il passato

Iva Mihailova

Domenica 14 febbraio gli abitanti del Kosovo saranno chiamati alle urne per le elezioni anticipate: è la quinta volta dopo la proclamazione dell’indipendenza dalla ex Jugoslavia avvenuta 13 anni fa. Il recente terremoto politico è stato causato dalla decisione della Corte speciale sui crimini dell’Uck (“Esercito di liberazione del Kosovo”) che ha accusato il presidente kosovaro Hashim Thaci di crimini di guerra. Alle sue dimissioni è seguita la decisione della Corte costituzionale del Kosovo che ha dichiarato illegale l’elezione del governo di Avdullah Hoti e così si è arrivati alle urne.

Una grande novità. “Sulla scena politica di Pristina è in arrivo una grande trasformazione: per la prima volta nessuno dei vecchi leader dell’Uck sarà nel Parlamento”, afferma al Sir l’analista politico dei balcani Nikolay Krastev (nella foto). A suo avviso “i recenti protagonisti come Hashim Taci, Jakup Krasniqi e Kadri Veseli ormai saranno solo nei libri di storia e questa è un’occasione da non sprecare per il giovane Paese balcanico per lasciarsi alle spalle il burrascoso passato e liberarsi da politici legati alla corruzione e accusati di crimini di guerra”. Infatti, secondo l’ultimo sondaggio dell’Istituto Pipos, reso noto il 9 febbraio, la prima forza politica sarà il movimento Vetevendosje guidato dall’ex primo ministro Albin Kurti con il 41% dei consensi, seguiti dal Partito democratico del Kosovo con il 22%, mentre al terzo posto rimane la Lega democratica del Kosovo, partito al governo uscente con il 19%. L’Alleanza per il futuro del Kosovo dell’ex premier Haradinaj è data all’8%.

Stop alla corruzione. “Si prospetta una possibile coalizione tra Vetevendosje e il Partito democratico del Kosovo, allo stesso tempo un’unione insolita ma anche promettente, soprattutto tra i due leader, l’aspirante premier Albin Kurti e la giovane e promettente Vjosa Osmani, attualmente presidente del Parlamento”, è la previsione di don Lush Gjergij (nella foto), sacerdote cattolico di Pristina e biografo di Madre Teresa. Il quale racconta che la gente vorrebbe “un cambiamento radicale, perché dalla libertà ottenuta dopo l’intervento della Nato e della lotta dell’Esercito della liberazione possa nascere uno Stato libero e democratico, privo di corruzione e del clientelismo dei partiti”.Secondo don Gjergij, i problemi principali che Pristina sta affrontando adesso sono non solo “la pandemia ma anche la disoccupazione, la corruzione e la continua emigrazione”.

Pandemia e disoccupazione. “A causa delle restrizioni per il Covid-19”, continua il sacerdote kosovaro, “60mila persone hanno perso il lavoro e la disoccupazione giovanile era alta già prima; il problema è dunque soprattutto la crisi economica con serie ripercussioni tra i giovani”. Nel 2020 le perdite registrate per le imprese ammontano fino a 1 miliardo di euro.“In questa situazione – afferma don Gjergij – la corruzione ha trovato un terreno ancora più fertile”.E di promesse in questo tempo di campagna elettorale ne sono state fatte parecchie, compresi investimenti miliardari in euro, senza però spiegare da dove verrebbero i soldi. “Infatti, la realizzazione di queste promesse non dipende solo dai politici del Kosovo”, spiega don Gjergij; l’isolamento del Paese balcanico è legato alla normalizzazione dei rapporti con la Serbia, “una questione ancora irrisolta”, e all’influenza dell’Unione europea e degli Stati Uniti nella regione.

Voglia di pace. “Con la nuova presidenza americana si prospettano cambiamenti nelle trattative – afferma Nikolay Krastev –; l’accordo firmato a Washington dall’ex premier Avdullah Hoti e dal presidente della Serbia Alexander Vucic probabilmente sarà rivisto”. Secondo Krastev, l’Ue “sa benissimo che le trattative dovranno ricominciare con il nuovo esecutivo e ci vorrà del tempo. Questa zona dei Balcani ha bisogno di pace e prospettive; il cambio dei confini, subentrando territori con popolazione prevalentemente albanese o serba, farà tornare i Balcani occidentali decenni indietro”.Il Kosovo non è riconosciuto da 5 Paesi europei (Grecia, Cipro, Romania, Slovacchia e Spagna) e per questo affronta diverse difficoltà per diventare Paese-candidato oppure ottenere la liberalizzazione dei visti.Nel frattempo nel loro quotidiano i kosovari cercano di andare avanti, ma le attese della popolazione durano ormai da troppo tempo. “La gente è molto delusa e stanca dei politici e delle loro promesse vane”, conclude don Gjergij.

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