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Biancazzurro, lettera aperta dei ragazzi: “La nostra speranza è quella di diventare un pò più visibili agli altri”

Foto di repertorio

DIOCESI – Pubblichiamo la lettera degli ospiti del centro Biancazzurro di San Benedetto del Tronto: Barbara, Doriana, Roberto, Mariangela, Franco, Vincenza, Tiziana, Simone, Valeria, Tonino, Massi, Enrico, Simona, Angela, Nicoletta, Chiara e Valeria.

“Non ricordo l’ultima volta che sono andato a casa” afferma Roberto dando voce a tutti noi ragazzi della casa famiglia del Biancazzurro.
Era la fine di febbraio e qui al centro Biancazzurro, di San Benedetto del Tronto, noi ragazzi della casa famiglia e del centro diurno abbiamo organizzato una “mega” festa di carnevale.
Chi si poteva immaginare che da lì a pochi giorni tutto sarebbe cambiato?.
Il nostro centro è sempre stato un luogo dove chiedere il silenzio era troppo. Passavamo le giornate impegnandoci in tante attività come il nuoto, le bocce, il Kung Fù, la casa dell’accoglienza, le uscite con l’UNITALSI, il coro e le passeggiate alla scoperta del nostro territorio.
Agli inizi di marzo quando abbiamo saputo della pandemia e dell’immediata chiusura di tutte le attività che svolgevamo è arrivato il silenzio. All’improvviso ci siamo sentiti privati, come tutto il popolo italiano, delle nostre abitudini quotidiane e bloccati come se fossimo rimasti fermi in una foto.
Nella nostra mente è ancora impresso il momento in cui tutto è cambiato, quel momento in cui Marvin, Maria Virginia Campolieti, ci ha comunicato: “Ragazzi il centro Biancazzurro deve chiudere perchè dalle notizie che abbiamo ricevuto è importante che cerchiamo di salvaguardare il più possibile la nostra salute” noi ci siamo sentiti destabilizzati, impauriti, tristi, arrabbiati e turbati.
In quei momenti non ci siamo resi conto di tutto ciò che fuori stava accadendo, nonostante venivamo costantemente informati, siamo stati travolti da quest’onda anomala che racchiudeva parole come: lockdown, pandemia, COVID-19, mascherina, terapie intensiva, DPCM, Smart working e indice RT.
Negli occhi della nostra coordinatrice Marvin vedevamo la fatica nel comunicarci le notizie sulla triste verità, gli piangeva il cuore a dirci: “no ragazzi non si può fare!”. Potevamo vedere solo i suoi occhi perchè per proteggerci aveva coperto il resto del volto con la mascherina ma sapevamo che stava facendo il possibile per strapparci almeno un piccolo sorriso.
Marvin non è stata la sola perchè tutti gli operatori, compresi quelli del centro diurno, ci hanno permesso di vivere al meglio tutta questa situazione, tramite una modalità più leggera non ci hanno mai nascosto la verità e ci hanno fatto sapere sempre tutto anche le cose più brutte.
Rispetto ai ragazzi del centro diurno, che hanno vissuto tutta questa situazione in casa, ci siamo sentiti fortunati, perchè i nostri amici del diurno ci hanno raccontato come sia stato veramente difficile affrontare tutto ciò, vivendo spesso momenti di forte paura. Anche noi abbiamo vissuto momenti di paura ma la paura se condivisa è meno pesante.
Il cambiamento di cui parlavamo all’inizio non ha colpito solo le nostre abitudini ma anche il rapporto con i nostri operatori che dovendo indossare la mascherina, per rispettare le regole e per proteggerci, non potevano farci vedere i loro sorrisi e le loro espressioni creando in noi un grande dispiacere. Con il passare dei mesi abbiamo iniziato a osservare di più gli occhi e quei sorrisi nascosti dalla mascherina li leggevamo nei loro occhi, diventando una situazione “normale”.
Questa situazione ci ha privato di molte cose ma ci ha permesso di scoprire e sperimentare una nuova tecnica di comunicazione, attraverso le videochiamate su whatsapp e Skype, e di lavoro con lo “Smart working”. Le prime videochiamate le abbiamo fatte con i nostri cari, non ci sembrava vero incontrarli dopo tanto tempo attraverso un piccolo schermo del telefono. L’emozione era talmente tanta che alla fine dimenticavamo ogni barriera ma allo stesso tempo tutto ciò era insolito perchè ci mancava quel contatto fisico che caratterizza una relazione affettiva.
In un secondo momento abbiamo utilizzato le videochiamate Skype per iniziare a lavorare insieme alle ragazze del Servizio Civile. Tutto ciò ha suscitato curiosità e incredulità perchè non avevamo mai pensato di lavorare attraverso lo schermo di un computer. Questo ci ha creato uno spiraglio di speranza in mezzo a tutto questo buio dopo tanti mesi. Ci siamo affidati a due ragazze che ci hanno permesso attraverso dei laboratori di lettura, ginnastica e attività psicomotorie di vivere il “lockdown” in modo più leggero e divertente. Attraverso la lettura siamo riusciti a scavarci dentro e a mettere a nudo anche le emozioni più intime e a condividerle, mentre attraverso la ginnastica con l’aiuto del fisioterapista abbiamo vissuto un momento di serenità e di svago sostituendo la fisioterapia individualizzata. Il Servizio Civile inoltre si è messo a nostra disposizione per effettuare tutte le commissioni che potevano alleggerire il lavoro degli operatori.

Grazie alla pratica dello Smart working ci siamo sentiti attivi e coinvolti in un progetto che non accumunava solo noi ma tutti coloro che non potevano più lavorare in presenza.
Alla fine di giugno, dopo tanto tempo, con tutte le accortezze dovute, a sorpresa le ragazze del Servizio Civile sono tornate in struttura per comunicarci che da lì a pochi giorni sarebbero tornate in struttura portando avanti in presenza il lavoro e le attività che avevamo iniziato tramite lo Smart working. Questo primo passo verso la normalità ci ha reso molto felici è stata una vera boccata d’ossigeno che ci ha permesso di ricominciare a sognare e a sperare.
Una cosa però non ci è andata per niente giù in tutta questa storia. Abbiamo letto, dagli articoli di giornale, come molte persone soprattutto durante il periodo estivo abbiano pensato di più a loro stessi piuttosto che al bene di tutti. Leggere ciò ci ha fatto molto male perchè noi come tante altre persone ci siamo dovuti privare di cose a cui tenevamo, come già detto sopra, affinché potessimo contribuire al bene al miglioramento di questa situazione.
La nostra speranza è quella di diventare un pò più visibili agli altri e lo scopo di questo articolo è di ricordare a tutti le parole di Papa Francesco: “nessuno si salva da solo”.

Redazione: