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Gioco d’azzardo e ragazzi. Capitanucci: “La politica ha fallito”

Gigliola Alfaro

Il gioco d’azzardo è diventato un’attività diffusa tra gli studenti in Europa, con il 22% degli intervistati che ha dichiarato di aver giocato d’azzardo almeno una volta negli ultimi 12 mesi e il 7,9% degli studenti abbia giocato d’azzardo on line nel periodo di riferimento. Il 5% rientra nei giocatori d’azzardo problematici. In Italia, invece, siamo al 32% degli studenti che riferisce di aver giocato d’azzardo almeno una volta nel corso dell’anno. Di questi, il 3.9% risulta avere un profilo di gioco a rischio. È quanto emerge dal nuovo report dell’European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs (Espad), che contiene informazioni sull’esperienza e sulla percezione degli studenti di una varietà di sostanze, tra cui tabacco, alcol, droghe, inalanti, prodotti farmaceutici e nuove sostanze psicoattive. Nell’indagine sono inclusi anche l’uso dei social media, il gaming e il gioco d’azzardo. E proprio su questi ultimi aspetti ne parliamo con la psicologa e psicoterapeuta Daniela Capitanucci, presidente onorario di And-Azzardo e Nuove Dipendenze.

I dati sulle abitudini di gioco dei ragazzi italiani ci devono allarmare?

Quello che dovrebbe allarmare i decisori politici in primis e le famiglie in secondo luogo è che i nostri studenti minorenni, nelle fasce di età 15-16 anni, si collocano tra quelli in Europa con il più elevato tasso di pratica di gioco d’azzardo in assoluto, avendo puntato denaro almeno una volta, nell’anno precedente all’inchiesta Espad, su giochi di sorte legalissimi, quindi autorizzati dallo Stato e gestiti in concessione proprio da chi dovrebbe assicurare adeguata vigilanza che i minori non giochino: in particolare, le scommesse sullo sport, che attraggono i nostri giovani ben oltre la media europea, e le lotterie istantanee, i cosiddetti Gratta & Vinci. I nostri 15-16enni giocano d’azzardo assai più della media dei loro coetanei europei, con una differenza di ben dieci punti percentuali: il 32%, ovvero uno studente italiano su tre, ha giocato d’azzardo nell’ultimo anno; tale dato ci colloca appena dietro agli studenti greci e ciprioti (33%) e al pari degli studenti del Montenegro.

Essere al top di questa classifica su 35 Paesi è una maglia nera niente affatto invidiabile.

Cosa è stato sbagliato in Italia?

Questi dati sono una palese dimostrazione del fallimento delle politiche distributive del gioco d’azzardo in Italia sin qui adottate,

che dovevano garantirne in primis la legalità. Invece, stante che i minori giocano illegalmente a giochi d’azzardo legali e stante che i divieti di gioco d’azzardo ai minori nel nostro Paese vengono sistematicamente elusi, come chiaramente questi dati evidenziano, constatiamo con sconcerto la mancata protezione di questa fascia vulnerabile, che avviene nel silenzio più assordante.

Rispetto agli altri ragazzi europei i nostri giocano un po’ meno on line…

Sì, fortunatamente, al momento, almeno per quanto riguarda il gioco d’azzardo on line siamo leggermente sotto la media europea (7.6% vs. 7.9%). Ma è solo un caso, a mio avviso, probabilmente collegato ad una ancora generale limitata penetrazione dell’uso di mercati virtuali, per fare transazioni in denaro nel nostro Paese.

Come giudica la percentuale di giocatori patologici tra i nostri studenti?

Oltre ai volumi di consumo di gioco d’azzardo dovrebbe allarmare anche il dato che mostra gli effetti deleteri già riscontrati in termini di patologia ai danni di questi adolescenti. Una fetta di ragazzi infatti risulta dai dati Espad essere già dipendente dal gioco d’azzardo: il 3.9% risponde infatti a criteri diagnostici e clinici, per i quali sarebbe già necessario rivolgersi ai servizi di cura. Ma non va trascurato neppure il dato di coloro (e sono tanti!), che giocano d’azzardo in modo eccessivo, senza ancora avere raggiunto una soglia diagnostica: sono ben il 15%.Questi dati sono persino maggiori di quelli riscontrati dall’Istituto superiore di sanità qualche anno fa, che trovava rispettivamente un 3% di adolescenti “ammalati” cui si aggiungeva un ulteriore 3.5% di soggetti a rischio. La situazione parrebbe, dunque, peggiorata.Come possiamo interpretare questo aumento? La perdita di controllo è un processo progressivo e graduale, che si sviluppa nel tempo: più ragazzi giocano d’azzardo e più ragazzi manifesteranno problemi, quindi ampliare la quantità di consumatori darà luogo in un certo arco di tempo all’aumento di problematicità e poi di patologia. È evidente che questi giovani corrono un rischio importante, perché perdendo il controllo su un’attività rischiosa, subiranno rilevanti conseguenze nella loro vita, presente e futura, e in quella delle persone a loro prossime.Con la polarizzazione sull’azzardo assisteremo all’abbandono progressivo di progetti vocazionali, di studio e di carriera, e personali, al disinvestimento su attività ricreative, sportive, socializzanti, limitando le relazioni con i pari al solo gruppo di coetanei che gioca d’azzardo, sperimentando tensioni nelle relazioni a casa e con amici non giocatori…A ciò si deve aggiungere che avranno evidentemente i primi problemi con i soldi (che ricordiamo sono il motore della macchina dell’azzardo), rinunciando a spese essenziali per garantirsi la scommessa, e persino arrivando a sottrarre denaro in modo illecito.

Secondo lei quali sono le azioni per aiutare i nostri ragazzi a evitare di cadere nelle reti dell’azzardo?

Il primo strumento di un educatore (che sia un genitore, un adulto, il gruppo dei pari, o persino la collettività e lo Stato…) è l’esempio concreto e la coerenza nei messaggi che trasmetterà.

Suggerisco, sulla scia di Don Bosco, di educare attraverso i comportamenti, attraverso la propria testimonianza chiara e netta.

L’adulto davvero responsabile non è quello che “gioca responsabilmente” o “con la testa” (come invitavano a fare gli spot); bensì è quello consapevole che questo dell’azzardo e delle scommesse è un consumo pericoloso, costruito per agganciare e trattenere a giocare le persone il più a lungo possibile, cioè architettato proprio per farle diventare dipendenti al fine di trarre da loro profitto a scapito della loro salute, come è spiegato ampiamente nel recente libro “Perché il gioco d’azzardo rovina l’Italia” di cui sono autrice con Umberto Folena. Quindi, è l’adulto testimone attraverso il suo agire personale, l’adulto educante (ma anche lo Stato educante) quello di cui abbiamo necessità in questo momento: non giocare mai davanti ai propri figli e non coinvolgerli mai nel grattare un tagliando o nello schiacciare un bottone o nel decidere su quale partita scommettere è il comportamento da adottare per proteggere i giovani.

Preservarli dall’offerta scellerata sarebbe l’approccio statale del “buon padre di famiglia”.

Meglio ancora quindi sarebbe non giocare d’azzardo affatto e non promuovere il gioco d’azzardo quale forma di consumo facilmente accessibile, neppure se si è maggiorenni. Perché c’è un’altra categoria di ragazzi che soffre in silenzio, che spesso viene dimenticata: sto parlando delle vittime del gioco d’azzardo passivo, cioè coloro che patiscono a causa della dipendenza di qualcun altro a loro vicino. E i piccoli sono gli anelli più fragili di questa catena. Perché i dati di diffusione della patologia che oggi abbiamo commentato in relazione ai giovani, consumo e patologia, sono altrettanto allarmanti anche per quanto riguarda gli adulti. Padri, madri, nonni, zii, fratelli… Una moltitudine di dannati dell’azzardo, che – pur senza volerlo – trascinano nel loro girone infernale chiunque graviti attorno a loro, con danni pesantissimi.

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