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Come si può insegnare ai giovani il senso di responsabilità?

Silvia Rossetti

Come si può insegnare ai giovani il senso di responsabilità? E, soprattutto, come mai oggi i nostri ragazzi appaiono così fragili e impreparati nel prendersi carico dei compiti a lungo termine?

Si tratta di un passaggio importante in termini educativi, un insegnamento indispensabile alla buona riuscita del percorso scolastico, ma soprattutto di quello esistenziale.

Sul senso di responsabilità, però, dovremmo interrogarci in maniera ampia. Il fatto che non si riesca a trasmetterlo correttamente e in maniera efficace alle giovani generazioni evidenzia un vulnus che riguarda l’intera comunità educante.

Tra il XIX e il XX secolo molti filosofi si sono misurati con il concetto di responsabilità che, letteralmente, potrebbe essere tradotto come la capacità di “dare risposte concrete” alle necessità individuali e collettive che ci si presentano nel corso del nostro esistere.

Søren Kierkegaard, ad esempio, nell’Ottocento affermava che la nozione di responsabilità fosse da inquadrare nel legame dell’uomo con l’Assoluto.

Tale visione, negli anni successivi e attraverso il pensiero di altri intellettuali, ha subìto un processo corrosivo. Si è giunti perfino a identificare il senso di responsabilità come un fattore di castrazione delle naturali inclinazioni dell’uomo.

In un certo modo è stato il pensiero di Jean-Paul Sartre a recuperare la dimensione interpersonale ed eroica della responsabilità che egli vedeva come un’esplicitazione del compito dell’uomo, a cui si presenta il dovere di realizzare con autenticità e libertà la propria esistenza. Anche l’opera di Emmanuel Lévinas si è strutturata intorno al riconoscimento della centralità della nozione di responsabilità, egli collocava con saggezza l’azione del singolo in un quadro dialettico e di scambio con quello dell’altro.

Nell’epoca a noi contemporanea il rapido sviluppo tecnologico, insieme all’ampliamento del raggio d’azione dell’agire umano e alla crescente difficoltà di prevedere con precisione le conseguenze delle azioni collettive, hanno imposto una complessiva e profonda revisione dell’etica tradizionale. Negli ultimi anni è stato introdotto nel nostro lessico comune anche il termine “corresponsabilità”, proprio per indicare l’azione sinergica che spesso occorre per rispondere correttamente e prendersi cura di un bisogno comune.

La nozione di responsabilità, quindi, ha subito un forte processo critico e spesso ne è uscita indebolita, o non completamente chiarificata.

Ciò che oggi rende incerta “la consegna” generazionale di questa capacità fondante è da individuare soprattutto nella frammentazione che subisce la progettazione educativa stessa, sia all’interno delle famiglie che nella scuola.

Parliamo di responsabilità in maniera continua, ma episodicamente, senza realmente fornire ai nostri figli gli strumenti per maturarla. La responsabilità è in un certo senso identificabile con la lungimiranza che dovremmo avere nel valutare le nostre azioni nel passato, nel presente e nel futuro. Per acquisire lungimiranza, occorre parlare facendo riferimento a un orizzonte temporale che oggi si parcellizza continuamente: le nostre giornate sono fatte di attimi, che non sempre costruiscono una unitarietà. Gli attimi sono caotici e si portano dentro molteplici azioni, spesso anche in contraddizione le une con le altre. E’ il multitasking del vivere che disorienta i nostri ragazzi. Il senso di responsabilità, in questo modo, va a sconfinare sempre di più nel terreno dell’astrattismo. Ci si dimentica di andare a verificare in maniera “scientifica” le conseguenze delle nostre azioni, quanto meno non ci si riflette adeguatamente.

Anche noi educatori, spesso, gettiamo quantità innumerevoli di semini che poi dimentichiamo di annaffiare.

Un altro aspetto da non sottovalutare nel processo di “ri-fondazione” dell’etica della responsabilità, dovrebbe essere la capacità di “prendersi cura” di noi stessi e del nostro progetto di vita. Il take care che proponeva don Lorenzo Milani. Per essere responsabili di qualcosa, occorre amare quello che si fa, sentirlo proprio, soprattutto comprenderne il senso.

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