di Marco Guerra – Vatican News

Dopo 17 anni di violenze, sabato il governo del Sudan e la maggioranza dei gruppi ribelli hanno firmato uno storico accordo di pace per porre fine ai combattimenti che hanno causato centinaia di migliaia di vittime. La fine della guerra è infatti tra le priorità del governo di transizione, guidato dal primo ministro Abdalla Hamdok, al potere dopo l’uscita di scena, l’anno scorso, dell’uomo forte del Sudan Omar al-Bashir.

Pace per Darfur, Nilo Blu e Kordofan

L’accordo, ratificato nella capitale sud sudanese Juba, si è concentrato sulla risoluzione dei conflitti nella regione occidentale del Darfur e negli stati meridionali del Nilo Blu e del Kordofan meridionale e mira a unificare e pacificare le varie componenti etniche del Paese. La sigla ufficiale dell’intesa è arrivata a seguito un lungo negoziato, conclusosi a fine agosto, tra le autorità di transizione e il Fronte Rivoluzionario Sudanese (Srf) – una coalizione di numerose formazioni armate – e prevede questioni chiave relative a sicurezza, all’assegnazione della proprietà della terra, a riparazioni e risarcimenti, alla divisione dei poteri, al ritorno delle persone sfollate dai combattimenti, nonché lo smantellamento delle forze ribelli e la loro integrazione nell’esercito nazionale.

I gruppi fuori dall’accordo

Si tratta di un risultato di portata storica malgrado manchino le firme di due potenti gruppi ribelli, il Sudan Liberation Movement-Nord guidato da Abdel-Aziz al-Hilu, che ha comunque preso parte alle trattative, e il Sudan Liberation Movement-Army con a capo Abdel-Wahid Nour che invece non ha mai voluto sedersi al tavolo dei colloqui. Queste defezioni destano preoccupazione ma vale la pena sottolineare l’adesione dei gruppi della regione del Darfur occidentale, una delle aree più instabili dell’Africa. Il conflitto in Darfur ha infatti provocato dal 2003 almeno 300.000 morti e 2,5 milioni di sfollati. A fronteggiarsi furono gli arabi sostenuti dal governo e i gruppi etnici locali.

Il sostegno della comunità internazionale

Anche i garanti dell’accordo, Ciad, Qatar, Egitto, Unione africana, Unione europea e Nazioni Unite hanno messo la loro firma.  L’Alto rappresentante dell’Ue Josep Borrell ha parlato di “giornata storica” e ha sottolineato la portata dell’evento anche il segretario dell’Onu Antonio Guterres secondo il quale si tratta dell’inizio di una nuova era, che potrà contare sul pieno sostegno delle Nazioni Unite. Bisogna considerare infatti che il Paese è stato lacerato da diversi conflitti interni fin da dopo la sua indipendenza, nel 1956, inclusa la guerra del 1983-2005 che ha portato alla secessione della parte sud – a maggioranza cristiana e animista – che nel 2011 è diventata uno Stato indipendente, il Sud Sudan, a seguito di un referendum passato al larga maggioranza.

Napoli: importante ricollocare i ribelli

“E’ la prima volta che si raggiunge un accordo con un cartello così ampio di opposizioni armate, uno dei passaggi più importanti è proprio lo smantellamento delle milizie e la loro integrazione nell’esercito perché è fondamentale ricollocare questa gente per evitare di ritrovarsi con criminali in giro, che possono far cadere la pace e alimentare scontri tribali”, così Antonella Napoli, direttrice della testata di Focus on Africa ed esperta dell’area più volte inviata in Darfur, analizza per Vatican News gli elementi di novità di questo accordo di pace. La Napoli auspica quindi che si arrivi alla pace anche con i due gruppi rimasti fuori dall’intesa e ricorda la presenza di sacche di ribellione sulle montagne del Jebel Marra.

 

Darfur ancora in crisi umanitaria

Riguardo alla situazione umanitaria in Darfur la giornalista parla di condizioni ancora “al limite della sopravvivenza” perché si è verificato il progressivo smantellamento della missione di pace ibrida dell’Onu e dell’Unione africana che non ha prodotto grandi risultati: “Con il rientro di molti sfollati si è deciso di ridimenzionare la missione internazionale ma la situazione resta grave perché, pur non essendo nei campi, ci sono 4 milioni e mezzo di persone bisognose di assistenza, a cui manca tutto”.

La transizione democratica

Nonostante tutto l’accordo siglato rappresenta uno dei punti fondamentali per la transizione democratica del Paese, ricorda ancora Antonella Napoli, “che procede nonostante le pulsioni interne islamiste che cercano di frenare questo percorso”. “In tal senso un passaggio importante dell’accordo – aggiunge – è quello che prevede che l’Islam non sia più religione di stato e fonte del diritto; condizione richiesta da molti gruppi per l’adesione alla pace e che tiene dentro gli animisti e i cristiani”.

L’azione degli Stati Uniti

Infine la direttrice di Focus on Africa parla delle ripercussioni internazionali e del ruolo della comunità internazionale nel raggiungimento di questa pace: “Parliamo di un Paese ricco, che dopo 30 anni di regime cambia pagina; poi c’è anche la spinta degli Stati Uniti per la normalizzazione dei rapporti tra Sudan e Israele che può influire su tutto il processo di pace arabo-israeliano. Gli Usa hanno posto sul tavolo la possibilità di togliere il Sudan dalla lista dei Paesi sponsor del terrorismo”.

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