GROTTAMMARE – Il Parlamento in questi giorni è impegnato in un importante dibattito sul mondo della scuola che attende delle risposte urgenti dalla classe politica. Una delle questioni più scottanti è quella che riguarda la galassia dei precari e per questo motivo abbiamo voluto ascoltare la voce di un giovane insegnante. Matteo Cosenza, classe 1989, ha conseguito la Laurea Magistrale in Matematica e Applicazioni presso l’Università degli Studi di Camerino e negli ultimi 5 anni ha insegnato nei licei di Gorizia, Varese, Urbino, Ripatransone e San Benedetto.

Cosa pensa di fare il governo per i precari della scuola?
Il problema non è ciò che il governo “pensa” di fare, perché i presupposti sono sempre ottimi, ma si scontrano poi con la realtà. Senza farne una questione di colore politico, sono anni che un neolaureato (o ex-neolaureato) non ha la possibilità di scrollarsi di dosso il macigno della precarietà. Questa volta si parla addirittura di 32mila assunzioni entro il 2020, ma sarà così? L’ultimo aggiornamento è di qualche settimana fa, quando abbiamo avuto l’ufficialità che i posti non saranno messi a disposizione per settembre 2020, come annunciato in precedenza, ma slitteranno più avanti. E il Coronavirus non c’entra nulla, i rallentamenti sono dovuti alle polemiche sulla tipologia di prova da proporre (quiz, domande aperte, nessuna prova ma bando solo per titoli), così che la ricerca della strategia più “meritocratica” farà sì che a settembre molte classi si troveranno senza insegnanti e comunque senza continuità garantita.

Quali sono invece le aspettative dei precari?
Per semplificare, finora un insegnante per essere titolare di una cattedra deve aver conseguito una laurea, un’abilitazione e vincere un concorso. È però dal 2014 che non viene più bandito nessun percorso abilitante, bloccando così in una situazione di precariato obbligatorio tutti gli aspiranti docenti laureatisi negli ultimi 6 anni. Sia chiaro: non un concorso, ma soltanto un titolo che dia la possibilità di accedervi. Nel corso di questi 6 anni abbiamo visto ministri e non solo presentare con tanto di slide e annunci ufficiali TFA, FIT, concorsi e chi più ne ha più ne metta. Addirittura spulciando la Gazzetta Ufficiale di qualche settimana fa si trovano il bando del concorso e addirittura i dettagli sulla prova e sui punteggi, ma nuovamente è saltato tutto. Per rispondere alla domanda, non chiediamo molto, basterebbe sbloccare quanto già in programma da tempo.

I precari stanno portando avanti la loro battaglia in forma associata o solitaria?
Ogni insegnante precario combatte la sua battaglia personale ogni anno quando a settembre le scuole iniziano e non sa ancora dove andrà a lavorare e a giugno quando si trova costretto a tornare tra i disoccupati. Spesso si lascia ai sindacati il compito di negoziare con la politica gli aspetti del reclutamento dei docenti, ma col dovuto rispetto il loro è un linguaggio che non funziona più, anzi. In un mondo in cui i social e la loro violenza verbale fanno da trampolino per la politica, i precari fanno fatica addirittura a trovare appigli e solidarietà. Si è arrivati al punto che sembra quasi che il precariato sia una colpa e non una conseguenza di una gestione sciatta del mondo della scuola e che è giusto che sia così.

Non pensa che il tempo che intercorre fra la laurea e l’immissione in ruolo sia troppo lungo?
Sicuramente sì. Immettere nel mondo della scuola un giovane nel pieno delle sue energie, liberandolo da preoccupazioni sulla certezza del suo futuro gioverebbe all’intero sistema scolastico, oltre a dare ossigeno ad un sistema, quello della scuola, quasi al collasso. Prendere ogni anno una classe nuova in un ambiente nuovo non è facile e la continuità gioverebbe a tutti, insegnanti e studenti.

Una soluzione potrebbe essere quella di conseguire l’abilitazione all’insegnamento contestualmente alla laurea?
Potrebbe essere un’idea, perché no. Molti laureandi hanno già le idee chiare sull’intenzione di intraprendere la carriera da insegnante, e un percorso che semplifichi i passaggi sarebbe un’ottima cosa. Certo, non risolverebbe il problema per chi una laurea l’ha già presa o la sta prendendo, però intanto potrebbe essere un inizio.

Secondo lei l’idea stessa di concorso non è superata dai tempi e dalle esigenze del mercato?
Non necessariamente. Quel che è certo è che ad oggi la scuola ha bisogno di un’immissione di personale non indifferente e l’organizzazione attuale non funziona. Più che un ripensamento delle modalità di ammissione sarebbe opportuna una calendarizzazione organizzata delle stesse. Ogni anno la scuola perde insegnanti con i pensionamenti, non vedo perché non dovrebbe organizzarsi con l’assunzione regolare di nuovi.

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