SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Abbiamo chiesto a Don Patrizio Spina, Vicario Generale della nostra diocesi e Parroco della Parrocchia Santa Maria della Marina, di fare il punto su come le varie comunità ecclesiali presenti nel nostro territorio hanno affrontato l’emergenza coronavirus. L’impressione che emerge è che, nonostante le avversità del momento, le parrocchie siano state coese e che forse le difficoltà hanno rinsaldato i vincoli di unione fraterna nella nostra diocesi.

Che rapporti ci sino stati fra i membri del presbiterio diocesano e il Vescovo nella cosiddetta “fase 1”? Siete riusciti, nonostante tutto, a coordinarvi nell’azione pastorale?
Certamente siamo stati limitati come tutti negli spostamenti, ma ci siamo sentiti spesso per telefono. Il nostro Vescovo si è fatto presente sia con telefonate che con email che ha mandato regolarmente a noi preti, non soltanto per spiegarci di volta in volta i nuovi provvedimenti e come attuarli, ma anche per far sentire che era presente e si interrogava insieme a noi su come stare accanto alle persone. Naturalmente tutto questo si è fatto con molta sofferenza, poiché un conto sono le telefonate e le email, un conto è vedersi faccia a faccia. Proprio per questo motivo, ora che le misure restrittive si sono un po’ allentate, il Vescovo ha incominciato a incontrare i preti nelle loro zone dove operano. Stamattina è andato nella parte interna della diocesi che si trova in Abruzzo e nei prossimi giorni visiterà anche le altre vicarie per mettere insieme gioie e fatiche, dolori e speranze di questo momento. Ci siamo ovviamente sentiti anche fra preti anche per confrontarsi su come vivere la pastorale in questa quarantena

Per quanto riguarda le iniziative di solidarietà c’è stato anche in questo caso coordinamento o si è lasciato spazio all’iniziativa personale di ogni singolo parroco?
Direi l’uno e l’altro, nel senso che c’è stato, per esempio a livello di Caritas, un mettersi in rete, creando una chat dei volontari che vivono nelle diverse Caritas Parrocchiali, dove si scambiavano informazioni o si esponevano i bisogni delle diverse realtà. Prima di Pasqua c’è stata una grossa iniziativa di solidarietà, attraverso la quale è stata regalata alla Caritas Diocesana una gran quantità di uova di Pasqua e di colombe. Proprio attraverso questa chat i volontari della Caritas sono riusciti a distribuire questi doni su tutto il territorio. Poi ogni parroco si è giocato la propria fantasia, conoscendo il territorio e i suoi bisogni, visto che ognuno di noi conosce per contatto diretto le esigenze dei singoli e sa rispondere, quando possibile, a quelle che sono le richieste.

Qual è la sua percezione per quanto riguarda le situazioni di povertà nel nostro territorio?
La mia percezione è che anche chi stava mediamente bene abbia avuto seri problemi a far fronte a un’emergenza economica. Queste famiglie hanno accusato il colpo, trovandosi ad esempio in difficoltà nel pagare le bollette delle utenze domestiche. L’impressione è che questa situazione si protrarrà nei prossimi mesi. C’è stato un altro tipo di emergenza, soprattutto legata alle famiglie che sono rimaste in casa con i bambini, magari in appartamenti piccoli: i genitori hanno fatto fatica a gestire questo tipo di situazione.

Cosa si può dire di anziani e disabili?
Con gli anziani e i disabili c’è stata difficoltà a farsi prossimi per tutto il discorso di rispetto e di attenzione verso la loro fragilità, essendo primario non mettere in pericolo la loro salute dalla possibilità di contagio. Ci si è fatti vicini per come si è potuto. Per le persone anziane che hanno sofferto molto la solitudine, magari per il fatto di avere figli e nipoti distanti, i volontari hanno fatto un lavoro incredibile. Proprio i volontari mi hanno raccontato che si sono sentiti con queste persone le quali facevano soprattutto richiesta di una presenza.

Siamo pronti a livello ecclesiale per la fase 2?
Stiamo preparando un semplicissimo manifesto, una sorta di vademecum, che metteremo in tutte le nostre chiese, cercando di essere al massimo chiari, precisi e puntuali, perché vogliamo gestire il tutto con coscienza. Dobbiamo giocarcela al meglio perché dobbiamo avere senso di responsabilità sociale, stando dentro a questa storia e a questo territorio. Dobbiamo avere senso ecclesiale: vogliamo stare insieme con tutte le cautele. Sarà un po’ faticoso tornare alla normalità, ma io ho fiducia: non lo dico tanto perché lo debbo dire, ma perché ho sentito nelle persone il vivo desiderio di ripartire.

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