DIOCESI Un lettore ci scrive: Perché in particolare i Vescovi desiderano tornare in Chiesa e celebrare l’Eucarestia? Ognuno potrebbe continuare a pregare Dio a casa sua e in famiglia, come alcuni hanno fatto in questo periodo. Non è forse vero che Dio è in ogni luogo? Non basta leggere di più la bibbia e riscoprire la Parola?

Risponde per la redazione il teologo Nicola Rosetti: In questi mesi come comunità ecclesiale abbiamo fatto l’inedita esperienza della lontananza dalla mensa eucaristica per cause di forza maggiore. Questa situazione ci ha inevitabilmente portato a riflettere su come vivere il rapporto con il Signore in questa particolare circostanza. Ci siamo attrezzati, come abbiamo potuto, e pertanto in molti hanno continuato a partecipare alla Santa Messa in tv o in streaming. Non in alternativa, ma in aggiunta direi, molti altri ne hanno approfittato per leggere di più la Bibbia (come anche lei ha detto), per compiere qualche opera di carità verso chi è bisognoso o per rimanere in contatto con i fratelli nella fede.

In tutti questi gesti è in qualche modo presente il Signore. Si può forse negare che il Signore è presente nella sua Parola? O nei bisognosi? Oppure nei fratelli nella fede? Certo che no! Questa riscoperta della presenza del Signore in “ambiti extraliturgici” ha suscitato parecchie riflessioni nel nostro ambiente, tanto sulle testate che sul web, alcune delle quali mi hanno lasciato perplesso. Non pochi hanno come separato queste “presenze extraliturgiche” del Signore dalla presenza nel Sacramento dell’Eucaristia. In maniera più o meno cosciente sembra che abbiano messo fra parentesi la celebrazione eucaristica, di fatto negandone la centralità nella vita di fede.

Si tratta di un atteggiamento irragionevole poiché Colui che ha detto «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mt 24,35), «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40) e «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20) è lo stesso che ha detto: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò… Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» (Gv 6,54.56).

Insomma, non c’è alcuna opposizione fra le “presenze extraliturgiche” del Signore e quella Eucaristica, anzi, esse si richiamano a vicenda: è l’Eucaristia che ci spinge a cercare il Signore fuori dalla liturgia e sono le “presenze extraliturgiche” del Signore a indirizzarci verso l’Eucaristia. In tal senso l’Eucaristia è fonte e culmine di tutta la vita cristiana come ci ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 1324: «Tutti i sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere di apostolato, sono strettamente uniti alla sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati. Infatti, nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua»

In un rapporto di amicizia o di amore ci sono due azioni imprescindibili: donare e ricevere. Col donare, la volontà si mette in moto verso l’altro: se l’altro mi interessa mi do da fare per farlo stare bene, per metterlo a suo agio. C’è in questo un primato dell’azione. Allo stesso tempo però l’altro/a ha bisogno di essere ascoltato, accolto e compreso. In questo caso c’è un primato della “contemplazione”. Avviene la stessa cosa nella vita di fede: nella quotidianità si opera per lui e nella Santa Messa si riceve lui. Senza Eucaristia manca un aspetto fondamentale della relazione col Signore estromesso lui rimane solo il nostro ego(ismo).

Una vita di fede senza i segni sacramentali – e in particolar modo senza Eucaristia – è una vita cristiana amputata. Lo ha ricordato anche il Papa durante una messa celebrata a Santa Marta lo scorso 17 aprile parlando de «la familiarità con il Signore nella vita quotidiana», e de «la familiarità con il Signore nei sacramenti». Riferendosi alle messe celebrate in streaming, il Papa ha affermato: «È vero che in questo momento dobbiamo fare questa familiarità con il Signore (senza presenza del popolo, ndr) in questo modo, ma per uscire dal tunnel, non per rimanerci».

Ed è proprio questo il punto: come abbiamo vissuto la mancanza della celebrazione eucaristica? Ci ha aiutato ad avere ancora più “fame” e desiderio di lui? Ci ha fatto riflettere sulla “fortuna” che abbiamo avuto fino a poco fa riguardo alla possibilità di poter partecipare all’Eucaristia frequentemente? Possiamo ricorrere ancora una volta a una metafora tratta dalla vita di tutti i giorni. Se due persone che si amano sono costrette, per causa di forza maggiore, a non vedersi per mesi la lontananza farà accrescere in loro il desiderio di riabbracciarsi e le telefonate o le videochiamate intercorse, sono finalizzate all’incontro: la parola o l’immagine della persona amata non equivale alla sua presenza, anche se di questa presenza ci parlano.

Mi sembra necessario sottolineare che la preghiera individuale con la quale il fedele riconosce la sua dipendenza da Dio, per quanto importante, non è la stessa cosa della celebrazione eucaristica. Durante la Santa Messa avviene qualcosa che a casa non può accadere: nei segni del pane e del vino si rende presente Cristo. Se in tutte le altre circostanze Cristo è presente spiritualmente, se nei Sacramenti Cristo è presente con la sua forza, nel Sacramento dell’Eucaristia è presente con la sua Persona. Non a caso chiamiamo l’Eucaristia Santissimo Sacramento.

Come potere fare a meno dell’Eucaristia quando è stato esplicitamente il Signore a chiederci di ripete questo gesto in memoria di lui? Per comunicarsi a noi il Signore ha scelto la via del cibo. Sono molti i significati che ci celano dietro a questa scelta. Ne vorrei evocare due. Abbiamo bisogno del cibo e senza alimentarci rischiamo di morire. Scegliendo il segno del pane Gesù ci ricorda la nostra dipendenza da lui che ha detto: «Senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5). Si tratta di una dipendenza che va continuamente rinnovata, proprio come giornalmente, mangiando, si rinnova la nostra dipendenza dal cibo. Proprio questo tipo di coscienza avevano i cristiani di Abitene che all’,inizio del IV secolo furono martirizzati per aver celebrato contro le disposizioni di Diocleziano la Santa Messa. Si tratta evidentemente di circostanze molto diverse da quelle che noi attualmente viviamo – allora la celebrazione eucaristica era proibita in esplicito odio della fede cristiana, oggi per motivi igienico-sanitari – ma ci interessa vedere lo slancio, il desiderio e l’amore incondizionato che questi nostri antenati nella fede, al punto che ai loro persecutori risposero: «Senza l’Eucaristia domenicale non possiamo vivere».

Un secondo aspetto determinante sul quale riflettere: il pane eucaristico è un pasto condiviso. Mangiare, come abbiamo appena visto, è una necessità individuale. L’esperienza quotidiana ci mostra però che questa bisogno si consuma in compagnia: a pranzo e a cena mangiamo con i nostri familiari, quando usciamo nel week-end con i nostri amici ci ritroviamo spesso per mangiare una pizza oppure quando ci si innamora uno dei primi passi è invitare una donna a cena.
In maniera analoga l’Eucaristia è un pane donato alla comunità. Non a caso quando Gesù istituì questo sacramento lo fece davanti ai 12 apostoli. San Paolo ci spiega l’importanza di questa “evangelica socialità”: «Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (1 Cor 10,17). L’Eucaristia ci fa entrare in comunione con Cristo e attraverso la comunione con lui si genera l’unità fra noi. È l’Eucaristia che svela il senso più profondo dell’essere Chiesa e del nostro essere comunità cristiana. Infatti la parola “Chiesa” significa letteralmente “adunata”, derivando dal verbo greco ekkaléō, cioè comunità di persone chiamate da Un Altro. La Chiesa non è una “riunione condominiale” (con tutto il rispetto per le riunioni condominiali!), non è una assemblea autocostituitasi, ma è una comunità di persone convocate da Cristo. L’unità dei cristiani è generata non da uno sforzo, non dalla propria iniziativa, ma dall’iniziativa di Cristo e questa modalità di unione è esplicitata proprio dalla celebrazione eucaristica.

Alla luce di tutto questo, se il nostro forzato “digiuno eucaristico” non è stato un modo per desiderare ancora di più Cristo, per renderci conto del dono straordinario che abbiamo avuto ogni volta che abbiamo partecipato all’Eucaristia, dobbiamo necessariamente porci delle domande: crediamo veramente che nel pane e nel vino è realmente vivo e operante Cristo? L’Eucaristia ci fa percepire la contemporaneità di Cristo, di uno col quale possiamo avere, anche se in forma sacramentale, una relazione oppure partecipiamo a un rito come si può partecipare a una rievocazione storica che riporta in vita un evento del passato, ma secondo la modalità della “finzione”? Riconosciamo nella liturgia – e in particolare in quella eucaristica – il metodo che Cristo ha scelto per comunicarsi a noi attraverso dei segni materiali oppure ci avviciniamo ad essa con una mentalità gnostica, impedendo a Cristo di amarci con lo stesso spirito di Pietro che disse a Gesù «Non mi laverai mai i piedi!» (Gv 13,8)?

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