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Coronavirus Covid-19. Shevchuk (Ucraina): “Pronti ad accogliere malati e persone in quarantena”

M. Chiara Biagioni

Il 25 marzo il governo ucraino ha dichiarato lo stato di emergenza in tutto il Paese e ha anche prolungato la quarantena fino al 24 aprile. Provvedimenti adottati per il numero dei contagi in continua crescita. Ma in questa parte di Europa, dall’Ucraina alla Romania, c’è un fenomeno che preoccupa i governi: sono i rimpatri degli emigrati che preferiscono tornare “a casa” da Paesi particolarmente colpiti del Coronavirus Covid-19. E sono tanti. È Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, a raccontarlo al Sir parlando della situazione nel suo Paese. “In questo momento – dice – abbiamo più di 200 persone con test positivi. Ma il numero reale è ancora sconosciuto perché non tutti quelli che avvertono sintomi attribuibili al coronavirus possono accedere al servizio sanitario per fare gli esami e accertare la malattia o la sua assenza”. L’Ucraina è in quarantena ormai da due settimane. Nella città di Kiev, la metropolitana è ferma. Possono usufruire di trasporti pubblici solo persone con appositi documenti, per esempio, medici e persone che assicurano servizi necessari per il funzionamento della città. Tutte le scuole, le università e le attività commerciali sono chiuse. La gente è invitata a rimanere a casa. Al momento si registrano 5 morti certamente dovuti al coronavirus. “Questa è più o meno la situazione”.

Sua Beatitudine, riguardo ai rimpatri qual è la situazione?

Sta tornando un grande numero di persone dall’estero, soprattutto dall’Europa occidentale. Si calcola che attualmente in Ucraina stiano rientrando più di 100.000 persone, il Paese ha chiuso le frontiere. Quelli che rimarranno fuori, cittadini ucraini, non potranno più rientrare fino a quando non sarà presa un’altra disposizione del governo. Ci sono già, però, casi di contagi domestici. Anche i bambini sono contagiati. La regione più colpita è quella di Bukovyna, al confine con la Romania. Là si è verificato un fenomeno strano, soprattutto tra i contadini, dove sono stati contagiati interi villaggi che adesso sono tutti chiusi. Si cercano le misure adatte per evitare che il virus si propaghi in altre parti della regione.

Lei ha fatto una proposta molto interessante: se necessario, gli edifici del servizio pastorale, dei monasteri e i seminari della Chiesa greco-cattolica ucraina si trasformeranno in ospedali per accogliere i malati. Cosa l’ha spinta a prendere questa decisione?

Anzitutto, la nostra Chiesa è sempre stata ed è considerata, dalla popolazione, la Chiesa del popolo. Vale a dire, gli spazi ecclesiastici sono del popolo e per il popolo. Questo fatto si è visto in modo chiaro durante le proteste a Majdan nel 2014 quando, appunto, gli spazi ecclesiastici si sono trasformati in veri e propri rifugi dove non osavano accedere le bande armate del governo. Proprio in questi spazi ecclesiastici sono stati accolti numerosi feriti: i sotterranei delle chiese, le sale del catechismo, perfino i corridoi si erano trasformati in ospedali.

Anche oggi, la Chiesa, nei giorni della grande piaga del Coronavirus, non può rimanere chiusa ai bisogni della popolazione.

Come state pensando di fare concretamente?

Ovviamente, adesso la situazione è leggermente diversa perché ai tempi di Majdan i feriti non erano contagiosi. Attualmente l’organizzazione dell’assistenza ai malati di coronavirus ha delle esigenze molto specifiche. Siamo consapevoli di non poter farcela da soli. Siamo in contatto con i servizi sanitari del Paese che non sempre sono in grado di dare l’assistenza adeguata. Ho incontrato il primo ministro del governo ucraino per affrontare il problema della pandemia.

Noi offriamo tutto quello che siamo in grado di dare.

Quali sono le esigenze più urgenti?

C’è bisogno in questo momento di rispondere all’urgente bisogno di spazi dove le persone, che rientrano nel Paese, possono passare il periodo di quarantena, in quanto spesso non sanno dove andare, perché non possono tornare nelle loro case per evitare di contagiare gli altri. Secondo la legge vigente, non possono essere reintegrate nella società senza aver passato la quarantena sotto la vigilanza delle forze dell’ordine e dei servizi sanitari pubblici. Per questo motivo, stiamo pensando di aprire le nostre case di ritiro, i centri pastorali, i seminari, i centri di formazione proprio per questa destinazione. Si è anche verificata la necessità di alloggi per gli operatori sanitari e le forze dell’ordine in continuo movimento da una parte all’altra del Paese. Loro devono stare sul posto di lavoro h24 e spesso non ci sono trasporti pubblici per tornare a casa e poi rientrare al lavoro. Siamo in continuo contatto con le autorità pubbliche e con le organizzazioni di volontariato.

E se la situazione dovesse precipitare, com’è successo in Nord Italia?

Stiamo preparando la nostra infrastruttura ecclesiastica anche per poter assistere, quando arriverà il momento, quelli che saranno in gravi condizioni. Il volontariato della nostra Chiesa si sta organizzando per acquistare le attrezzature per la ventilazione artificiale dei polmoni. Tutto questo deve essere pronto se arriverà un momento di estrema urgenza. Abbiamo istituito il Comitato per la gestione della crisi di coronavirus. Si tratta di specialisti e di sacerdoti responsabili per la gestione dei beni ecclesiastici. Cerchiamo di essere aperti ed essere al servizio dei bisogni del popolo in questo momento.

Lei ha lanciato un appello molto importante anche ai politici invocando una quarantena politica. Di che cosa si tratta?

Si temeva, e si teme ancora, che questi provvedimenti di emergenza possano essere strumentalizzati per ledere i diritti dei cittadini e strumentalizzare questi provvedimenti per perseguitare l’opposizione, per fare pressione su quelli che non sono d’accordo con la maggioranza politica che governa nel Paese. Inoltre, la guerra in Ucraina continua e talvolta il nostro governo è costretto a fare scelte difficili che spesso devono avere il consenso dell’opinione pubblica e a volte anche l’approvazione pubblica, per avere legittimità politica È in gioco anche il dialogo nell’ambito degli Accordi di Minsk. Per questo motivo,il mio appello sulla quarantena politica significa non fare quelle scelte politiche che possono provocare tensioni sociali all’interno del Paese.La gente nella situazione critica dovuta al coronavirus non è in grado di esprimere la propria posizione civile nei confronti del governo e c’è la tentazione di fare pressione nei confronti degli avversari politici. Ho chiesto di non fare questo tipo di politica, di fermarsi, di collaborare tra tutti i politici per salvare vite umane, di collaborare per il bene comune. E non cercare di guadagnare qualche vantaggio politico sulla pelle della gente che muore.

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