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Incontro Cei sul Mediterraneo. Mons. Bizzeti (Turchia): “Non resti un evento isolato”

Daniele Rocchi

“Sarà l’apertura di una panoramica. Il Papa ha messo dei punti precisi. Ha detto: non fate lamentele perché è inutile stare a lamentarsi quando le cose non vanno bene. Non fate discorsi campati in aria. Fatemi delle proposte concrete che possono essere utili per risolvere i problemi dell’umanità perché veramente il Mediterraneo è il concentrato di tutti i problemi dell’umanità in quanto abbraccia Asia, Africa e Europa”. Con queste parole il presidente della Cei, card. Gualtiero Bassetti, ha presentato il 12 febbraio, l’Incontro su “Mediterraneo, frontiera di pace” (Bari, 19-23 febbraio), promosso dalla stessa Cei. L’incontro, al quale parteciperanno oltre 50 vescovi in rappresentanza delle Conferenze episcopali dei 19 Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, sarà concluso da Papa Francesco con la celebrazione della messa, domenica 23.

Tra i partecipanti – in rappresentanza della piccola Chiesa cattolica turca – ci sarà anche mons. Paolo Bizzeti, dall’agosto 2015 vicario apostolico dell’Anatolia (successore di mons. Luigi Padovese, ucciso il 3 agosto 2010 a Iskenderun, ndr.). E le parole del card. Bassetti vengono subito riprese dal vescovo, fiorentino di nascita, ma padovano di adozione dopo essere stato per otto anni direttore dell’Antonianum, famoso centro ignaziano di cultura e formazione della città veneta. Alla domanda: “Quale contributo fattivo porterà a Bari la Chiesa cattolica turca?”, la risposta del presule altro non è che la sintesi della missione portata avanti dalla Chiesa nel Paese della Mezzaluna:

“La Turchia ospita cristiani di diverse denominazioni, quindi porteremo a Bari la ricchezza di un cristianesimo plurale che può essere considerato un esempio di come si può costruire l’unità nella diversità grazie a rapporti sereni e vincoli di solidarietà”.

Una Chiesa di minoranza ma che vive un tempo di grande opportunità di sviluppo grazie ai lavoratori stranieri, ai profughi e rifugiati, soprattutto iracheni e siriani, in fuga dalle guerre nei loro Paesi. Va ricordato, infatti, che molti di questi sono di fede cristiana…
Il numero dei rifugiati cristiani supera abbondantemente quello dei fedeli autoctoni, almeno per i cattolici. Essi rappresentano una grande opportunità ma anche una grande sfida perché non abbiamo la possibilità di avere strutture adeguate e di promuovere iniziative loro dedicate. Avremmo bisogno di aprire delle cappelle, dei centri culturali, delle scuole, dei ritrovi giovanili, ma non possiamo.

Cosa lo impedisce?

Purtroppo, siamo ancora sotto il regime stabilito dal Trattato di Losanna che ci impone pesanti limitazioni in quanto il Trattato non fa rientrare la Chiesa cattolica latina tra le confessioni ammesse (lo sono solo le comunità religiose greco-ortodossa, armena ed ebraica). Questo rende difficile fare cose che in altri luoghi sarebbero la normalità almeno dal punto di vista pastorale. I rifugiati sono dislocati in tantissimi centri urbani dove non c’è nessuna presenza della Chiesa e anche solo per partecipare ad una iniziativa fuori città devono chiedere il permesso alla Polizia e non sempre viene rilasciato. La regola, infatti, è che non possono abbandonare il luogo dove sono stati destinati.

Una vera e propria limitazione al diritto di mobilità e del rispetto della libertà religiosa…
Sì. Credo per questo che un ripensamento e un adeguamento ad oggi del Trattato di Losanna siano necessari. Fra tre anni, tra l’altro, ricorre il centenario. In Europa si pensa che il problema della libertà religiosa riguardi solo i credenti ma in realtà è un fattore di democrazia così come la libertà di espressione, di pensiero, di mobilità. La Turchia è un insieme di culture, di religioni, di etnie e di popoli per questo bisogna avviare un processo, un cammino nella direzione del rispetto dei diritti fondamentali.

A Bari ci saranno vescovi di nazioni europee dove le Chiese hanno respirato questo processo democratico cui faceva cenno poco fa; altri, invece, vengono da Paesi governati ancora oggi da regimi, segnati da guerre e tensioni politiche. Si potrebbe parlare di Chiese a due velocità che a Bari potrebbero incontrarsi?
Penso che le Chiese di Europa hanno goduto e godono di possibilità che non ci sono in altri Paesi del Mediterraneo. Pertanto, sarebbe molto importante che ci fosse una maggiore cooperazione. Da un lat, le Chiese europee possono ricevere dalle nostre Chiese la testimonianza di un cristianesimo che non ha paura di essere minoranza, un piccolo gregge, perché forte della sua identità; dall’altro, anche le nostre Chiese possono ricevere aiuto, anche concreto, da quelle europee. Purtroppo, credo che si sia consumata una frattura abbastanza profonda tra le due sponde del Mediterraneo, complice anche una certa ignoranza generalizzata.

Ignoranza di cosa e da parte di chi?
Mi capita spesso di vedere i pellegrini che vengono qui in Turchia ignorare del tutto le ricchezze delle nostre chiese. Si limitano alla conoscenza dei Luoghi santi che visitano e sono poco attenti alle pietre vive che sono le nostre comunità locali. Poi c’è una ignoranza più generalizzata legata alle Chiese del Medio Oriente che, è bene ricordarlo, hanno una enorme varietà di riti, tradizioni e liturgie ma anche di modi di esprimere il governo, il sacerdozio…

Per esempio, ci sono i preti celibi e quelli sposati…
Esatto. Ci sono Chiese cattoliche che già vivono queste due possibilità. Tanto per cominciare sarebbe utile prendere coscienza che il cristianesimo, e anche il cattolicesimo, è più variegato di quel che pensano alcuni in Europa.

Da Bari potrebbe partire questa nuova presa di coscienza? Le Chiese della sponda sud del Mediterraneo possono quindi dare una spinta a quelle più secolarizzate della sponda nord?

I cristiani d’Europa sembrano essere molto impauriti mentre i cristiani di qui, delle Chiese mediorientali, sono fieri della loro fede.

Ci sono migliaia di rifugiati che, pur avendo perso tutto, sono rimasti fedeli a Cristo. Non hanno abbandonato la loro fede nemmeno davanti alle minacce di morte. Ricordo una volta che una signora, incontrando un gruppo di famiglie italiane, disse loro: “Forse voi avete perso la consapevolezza del tesoro che avete tra le mani. Noi ne abbiamo una coscienza maggiore per via delle tante difficoltà che viviamo. In queste condizioni abbiamo scoperto in Gesù la vera bellezza e il grande tesoro”. Spero che Bari possa essere la prima pietra di un ponte che riavvicini queste due sponde. Non deve restare un incontro isolato. Il Mediterraneo deve essere sempre più il luogo di incontro delle tre grandi religioni e non un epicentro di tensioni e di guerre come oggi.

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