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Siria. Padre Ayvazian (Qamishli): “Il martirio di abuna Ibrahim Hanna e di suo padre è un battesimo di sangue destinato a portare frutti”

Daniele Rocchi

“È stato un battesimo di sangue. Il sangue versato di questi martiri farà germogliare frutti di fede, di amore, di pace e di bene per tutti”. Non si placa l’emozione e lo sdegno della popolazione di Qamishli (provincia siriana nord orientale di Hassake) per l’attentato terroristico, l’11 novembre scorso, in cui sono rimaste vittime il parroco armeno-cattolico di san Giuseppe, ‘abuna’ Ibrahim (Hovsep) Hanna, e suo padre.

Padre Ibrahim Hanna, Qamishli (Siria)

Una vera e propria esecuzione compiuta nel distretto di Busayra, nella regione sotto controllo delle forze curdo-siriane, nel villaggio di Zar, a est di Deir ez-Zor e rivendicata dallo Stato Islamico. Tre giorni fa i funerali nella cattedrale di san Giuseppe, a Qamishli, davanti a una folla di fedeli commossi. A celebrarli padre Antonio Ayvazian, vicario episcopale della comunità armeno-cattolica dell’Alta Mesopotamia e della Siria del Nord che al Sir racconta lo stato d’animo della popolazione locale. “Queste morti – dice – hanno provocato tanto sdegno in tutta la popolazione. Migliaia di persone in questi giorni, in continuazione, sono venute a porgere le condoglianze e ad esprimerci solidarietà. È un segno chiaro di quanto la nostra Chiesa sia amata, apprezzata e rispettata da tutti, senza distinzione di etnia o fede. È stato commovente – rivela padre Antonio – vedere tante donne musulmane buttarsi in ginocchio davanti alla moglie e ai figli del nostro sacerdote. Un dolore comune a tantissimi perché siamo una famiglia. Sono venuti a dare le condoglianze alti rappresentanti del presidente siriano Assad e – rivela – anche esponenti dell’opposizione, quest’ultimi coscienti del pericolo che avrebbero corso con la loro presenza”.

“Nessuna vendetta”. “Il martirio di padre Hanna e del suo papà è un ulteriore segno di testimonianza dell’amore che Gesù ha riversato su tutti gli uomini” aggiunge il vicario episcopale che ha una certezza:

“la mano che ha ucciso è venuta da fuori. Non vogliamo vendetta ma giustizia”.

“Abbiamo perdonato, come ci insegna Gesù Cristo”. Ma in padre Antonio resta il dubbio che forse troverà una spiegazione se e quando i colpevoli di questo delitto saranno scoperti: “Allora – dice – chiederò loro: perché lo avete fatto? Che male vi abbiamo fatto? Siamo al servizio di tutti, perché questo male? Questo per noi rimane un gesto incomprensibile, avvenuto peraltro in una zona sotto controllo militare di Stati Uniti e Curdi. L’esplosione causata alla macchina, il giorno dopo, è avvenuta non distante da un check point curdo”.

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“Nessuno ci ha mai fatto del male anche quando qui la presenza di milizie jihadiste composte da ceceni, daghestani, afghani, pakistani era notevole. I loro superiori ci rispettavano. Adesso invece tutto è cambiato. La situazione è davvero complessa. Mi hanno raccomandato di usare prudenza, di essere cauto ma io continuo a fare tutto quello che facevo prima insieme ai miei collaboratori. E se possiamo anche meglio”.

Il primo frutto. “Dobbiamo riprendere la strada interrotta e portare avanti il nostro impegno a favore del bene, della pace, del perdono e della riconciliazione. È il modo migliore – rimarca il vicario – per onorare la memoria dei nostri martiri. Abbiamo oltre 20 istituzioni che in tutta la regione si adoperano nel campo dell’istruzione, dei servizi sociali e sanitari. Un servizio offerto a tutti, senza eccezioni. Non smetteremo di impegnarci a favore del bene, questa è la risposta più forte che possiamo dare a gesti efferati come l’omicidio di padre Hanna”. La paura non sembra vincere sulla comunità cristiana locale.

Oggi a vigilare sulle chiese ci sono “i nostri giovani”, e in alcuni momenti anche macchine della polizia locale. Ma ciò che rende la comunità cristiana ancora più forte in questo momento è il senso di “una mai sopita unità”. Padre Antonio la descrive rivelando “l’immagine più bella dei funerali: vedere la bara del nostro confratello portata a spalla, a turno, da tutti i sacerdoti di ogni rito e confessione cristiana. È stata una fortissima testimonianza di ecumenismo e di unità”. Ed è proprio da questo “ecumenismo del sangue” che potrebbe nascere il primo frutto di questo martirio:

“inviterò – dice padre Antonio – tutti i capi delle chiese cristiane di questa regione a celebrare la prossima Pasqua insieme. Sono certo che questa proposta verrà accettata e sarà un frutto bellissimo di questo martirio. Stiamo vivendo questo Calvario tutti insieme, e insieme vogliamo celebrare la Resurrezione e la sconfitta della morte”.

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