Le posizioni in Ecuador, dopo oltre una settimana di manifestazioni si stanno radicalizzando: “Forse lunedì sarà proclamata una giornata di mobilitazione di tutto il Paese. Per il momento viviamo alla giornata”. Lo afferma, da Quito, don Giuliano Vallotto, missionario fidei donum della diocesi di Treviso. “Per la prima volta hanno passato, solamente di sfuggita, le immagini delle esequie tributate a uno dei capi indigeni massacrato dalle forze governative. L’indignazione ha raggiunto il livello di guardia. Mi dicono che a Pujili, paese natale di questa persona, mai si è vista tanta rabbia tra la gente. Oggi il movimento si proponeva di occupare il Parlamento. Non so se ci riusciranno e se ce la faranno sarà a prezzo altissimo”, spiega il sacerdote.
Ma di fronte alla morte, “gli indigeni non cedono: per secoli la loro vita è stata una quasi-morte. E il potere è assente. Né il presidente, né il Parlamento, né il sindaco si fanno sentire: il primo si è rifugiato a Guayaquil, prigioniero dei poteri più forti di lui, il secondo è chiuso, il terzo pare si occupi di altre cose. Il potere ha fatto la scelta di presentarsi con la faccia più feroce: quella dei gas lacrimogeni e dei fucili. È incredibile costatare che lo scontro fisico si concentra attorno ai palazzi del potere, il resto della capitale pare estraneo al conflitto se non fosse per questa solidarietà diffusa che ho potuto costatare con i miei occhi. Ma in Ecuador non c’è solamente la capitale. Le province a maggioranza indigena sono tutte in agitazione. Oggi (venerdì, ndr), per esempio, è stato occupato il governatorato di Tungurahua, quello di Riobamba già da otto giorni è in mano dei manifestanti. Si tratta di una sollevazione a carattere nazionale”.