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Corridoi umanitari: “Porte aperte e legali per dare un futuro di pace”

M. Chiara Biagioni

“Da Roma chiediamo a tutta l’Europa di aprire corridoi umanitari europei perché un popolo di bambini come siete voi oggi, abbia un futuro di pace. Benvenuti”. Con queste parole Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, ha accolto questa mattina all’aeroporto di Fiumicino, a Roma, un gruppo di profughi siriani provenienti dai campi in Libano. Sono giunti in Italia in tutta sicurezza, con un volo aereo, grazie ai corridoi umanitari promossi da Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche e Tavola Valdese, in accordo con i ministeri dell’Interno e degli Esteri. Sono 91 gli arrivi in totale tra ieri e oggi, la metà bambini. Con loro si raggiunge quota 2.700 di persone accolte in Europa con un progetto della società civile totalmente autofinanziato (dalla raccolta fondi di Sant’Egidio e dall’8 per mille valdese), nato in Italia, ma poi adottato anche da altri Paesi. Dal febbraio 2016, infatti, oltre 2.200 profughi sono già arrivati in Italia (più di 1.700 dal Libano, altri 500 dall’Etiopia), oltre ai circa 500 giunti in Francia, Belgio e Andorra.

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“I corridoi umanitari – dice Impagliazzo – sono un’alternativa all’inferno dei campi profughi in cui avete vissuto per troppo tempo”. “Vogliamo darvi qui in Italia un futuro buono, legale e di integrazione”. Il pensiero però va a tutti coloro che ancora si trovano nei campi a Lesbo e Samos in Grecia, in Libano, soprattutto in Libia.“Qui, oggi, davanti a voi vogliamo dire che i corridoi umanitari devono crescere, perché voi ce l’avete fatta ma dobbiamo pensare a tutti coloro che ancora soffrono per la guerra in Siria”.

Alla voce di Impagliazzo, si unisce quella del presidente della Federazione delle Chiese evangeliche (Fcei), il pastore Luca Negro. Anche lui lancia un appello affinché “si aprano corridoi umanitari europei in particolare dalla Libia, per liberare le migliaia di persone dall’inferno dei campi in Libia. Continueremo ad insistere con il nuovo governo perché l’Italia si faccia capofila”.

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Oggi è una giornata importante: questa sera presso la residenza a Roma dell’ambasciatore norvegese sarà consegnato ai promotori dei corridoi umanitari il premio Nansen per i Rifugiati dell’Unhcr. “Questo premio – ha detto Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr per l’Europa del sud – mostra che in Italia esistono migliaia di persone che vogliono conoscervi e accogliervi.

Dice che l’Italia è un Paese aperto ai rifugiati.

Sappiamo che può essere fatto molto di più ma una delle cose più importanti è garantire un passaggio sicuro a chi fugge dalle proprie case e non può farvi ritorno. Questo per noi è riconoscere i vostri diritti e la nostra dignità. Ci auguriamo che i corridoi umanitari crescano non solo in Italia ma anche in tutta Europa. Benvenuti!”.

C’è una piccola Italia, fuori dall’aeroporto di Fiumicino, ad attendere il gruppo dei rifugiati. Tra loro ci sono Giorgio Bausardo e Tommaso Panero dell’unità pastorale 9 della diocesi di Torino, e Carlo Zamiri del gruppo “A braccia aperte” legato alla rete dei gesuiti. Stanno aspettando. Sono venuti qui con un pullmino mentre a Torino è tutto pronto: le case, l’inserimento dei bambini a scuola, l’apprendimento della lingua. Li accompagneranno lungo il difficile viaggio della integrazione. Non sono soli. Il progetto accoglienza è condiviso e finanziato da centinaia di famiglie. Ci sono voluti mesi per organizzare tutto.

Con loro c’è anche Alì Alabdullah, 23 anni, giunto da Aleppo a Torino con la moglie due anni fa e ospite della Tavola Valdese. Aspetta la mamma e gli altri 7 fratelli. Anche loro arrivano dal campo Tel Abbas in Libano. “In Siria, hai solo tre possibilità: morire sotto le bombe e il fuoco; arruolarti con Assad o i ribelli e uccidere; scappare. Noi abbiamo scelto di scappare”. Tommaso Panero spiega così l’idea di coinvolgersi in prima linea nel progetto di accoglienza: “ci ha spinto il desiderio di non rimanere indifferenti di fronte ad un dramma umano di questa portata. Ci ha spinto anche l’idea di poter ridare una prospettiva futuro a queste persone. E l’idea che una tragedia così, come è capitata a loro, può capitare anche a noi, alle nostre famiglie, da un momento all’altro”.

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