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Bimbo morto dimenticato in auto. Siracusano (psichiatra): “Amnesia dissociativa”

Giovanna Pasqualin Traversa

Uscire di casa di corsa, portare il proprio bimbo di due anni al nido, raggiungere sempre di corsa il luogo di lavoro, parcheggiare ed immergersi nei mille impegni quotidiani. Ma questa volta le cose vanno diversamente. Manca un passaggio e quando il papà, un ingegnere di 43 anni, se ne accorge, è troppo tardi e la scoperta è agghiacciante: il piccolo non è andato al nido; è rimasto per cinque ore legato nel suo seggiolino nell’auto chiusa sotto il sole cocente di una giornata di fine estate a Catania. Vittima di un colpo di calore, nonostante i soccorsi, il bimbo non riuscirà a sopravvivere. E il papà si sente precipitare in un baratro.

“Ho soltanto un grande vuoto in testa”, ripete disperato l’uomo,

indagato come atto dovuto per omicidio colposo, agli inquirenti che lo interrogano. Una vicenda straziante, ma purtroppo non unica. Si tratta solo dell’ultimo di una lunga serie di casi. Dal primo, 21 anni fa sempre a Catania, ad altri in diverse parti d’Italia. Almeno 8 episodi in 10 anni: il penultimo a Pisa nel 2018. Nel frattempo l’obbligo di sensori anti-abbandono sui seggiolini auto adibiti al trasporto di bambini sotto i 4 anni, previsto dalla legge 117/2018 e che sarebbe dovuto scattare lo scorso 1° luglio, è stato rinviato a causa della bocciatura da parte della Commissione europea del decreto attuativo, perché mancante dei dati tecnici necessari a garantire efficacia e sicurezza ai dispositivi secondo la normativa Ue.

“Ci troviamo di fronte ad un fenomeno che ormai accade di frequente anche se, per fortuna, con esiti non sempre fatali”, afferma al Sir Alberto Siracusano, direttore della Cattedra di psichiatria e della Scuola di specializzazione in psichiatria dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata e componente del Tavolo nazionale sulla salute mentale istituito dall’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei. “Dal punto di vista mentale – spiega lo psichiatra – è il frutto di

una amnesia dissociativa, una sorta di vuoto di memoria transitorio che provoca una disconnessione delle funzioni della coscienza dalla memoria;

un fenomeno ampiamente conosciuto e descritto, che in questo caso – ma non è l’unico purtroppo – ha portato ad esiti mortali”.

“Detto questo – prosegue Siracusano – ogni episodio di questo genere va ovviamente inserito nella storia individuale della persona, della famiglia; sia per aiutare il genitore a superare un trauma sicuramente drammatico, sia per capire che cosa ci possa essere stato alla base di ciò che ha fatto scattare l’amnesia dissociativa. A volte non è ravvisabile una causa precisa; più in generale può essere scatenata da un trauma; da situazioni di particolare tensione o forte stress, affaticamento; stanchezza cronica, fisica e mentale. Questo in linea generale, ma ogni caso va guardato nella sua specificità”.

Come ci si può rialzare e tornare a vivere dopo una tragedia così devastante? “Rendersi conto che un’amnesia ha portato il proprio figlioletto alla morte – la risposta dello psichiatra – è

un qualcosa di veramente tremendo che ha bisogno di figure esperte

che consentano al papà o alla mamma coinvolti, in un primo tempo di gestire questo avvenimento, che coinvolge anche l’altro genitore del bambino e tutta la famiglia. Poi, in un secondo tempo, l’elaborazione dell’episodio porterà a superare a poco a poco questo gravissimo lutto”.

Ma contano anche l’affetto e il calore di chi abbiamo intorno. E’ il messaggio di solidarietà che arriva al papà di Catania dal papà di Pisa che nel 2018 ha perduto la figlioletta di un anno dopo averla dimenticata in auto anziché portarla al nido. “All’amico di Catania – scrive Daniele Carli – voglio dire soltanto di

lasciarsi abbracciare dalla moglie, dai familiari, dagli amici, da tutta la comunità.

Di raccogliere quelle mani tese. Io lo so quello che prova: è caduto in un pozzo buio, profondo e gelido”, dal quale però si può risalire “raccogliendo proprio quegli abbracci e quelle mani tese”. Con calma, senza fretta: “così riscoprirà – conclude Carli – che si può tornare a vivere anche in nome di quel figlio che non c’è più”.

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