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Quasi un diario 2, l’importanza delle relazioni e dell’incontro

Di Don Gianni Croci

La seconda giornata del convegno è iniziata con la preghiera e la lectio di Padre Vincenzo Andrea Appella che é partito dalla constatazione che la cultura di cui facciamo parte è in crisi, infatti anziché ‘dilatare l’umano’ pare ridurlo, teorizzando il post umano e il transumano. Ed allora la carità scende in campo per curare le ferite ma anche per ricordare che l’uomo resta il capolavoro di Dio, chiamato a dilatarsi verso l’Alto e verso l’altro, chiunque esso sia.
Profondo motivo di riflessione è stata la relazione di Mons. Paolo Bizzeti, vicario apostolico e presidente della Caritas in Anatolia: uno sguardo dalle periferie dell’Europa che ribolle, da una chiesa minoranza ma viva,da una Caritas che si sta ripensando. Ha esordito col dire che nella Turchia del sud ancora ci si parla, ci si guarda negli occhi, si conosce la reale situazione delle famiglie e dei poveri. La preghiera e la spiritualità sono essenziali per chi opera in Caritas perché non diventi semplicemente un lavoro da svolgere. Proprio la reale frequentazione del povero, l’ascolto della sue miserie, l’incontro personale, conduce a rendersi conto della vanità del proprio impegno: Dio solo può aiutare i poveri. A volte si ha l’impressione che in Europa si è persa la visione del povero come della possibilità di incontro col volto di Cristo. Ma se la Caritas è cultura dobbiamo tornare alle radici che portano a prendere le distanze da chi brandisce il Vangelo e nello stesso tempo rifiuta l’accoglienza dei poveri. C’é il rischio che una Caritas efficiente sia motivo di un certo tipo di colonizzazione quando trasforma le persone in schede, foto tessere, rendicontazioni.
La pedagogia di Gesù anche in questo rimane molto saggia: venite e vedete. La materializzazione dei bisogni è una grande menzogna, come afferma il prof. Zamagni. In medioriente il primato della persona è un primato universale: bere un tè insieme aiuta a vivere quanto la tessera alimentare. Questo chiede alla Caritas il ‘fare politica’, la forma più alta della carità, superando quella netta separazione tra mondo religioso e mondo delle istituzioni. I rifugiati Cristiani si chiedono come mai quell’Europa che invia aiuti a chi fugge dalla guerra e dalla fame, nello stesso tempo vende le armi all’ISIS per recuperare i soldi spesi per comprare da loro il petrolio di contrabbando? Che senso ha inviare gli aiuti se non si affrontano le cause di terribili situazioni?
L’Europa da’ fiumi di denaro ad un governo a cui domanda di tenere i rifugiati in una situazione di stallo, che si può immaginare é peggio della guerra. É stato fatto un muro di 750 mila kilometri tra Turchia e Siria con il contributo dell’Europa, di cui quasi nessuno ha parlato, ed allora ci si chiede dove è finita la funzione profetica dei Cristiani occidentali, se i Cristiani ci sono ancora! I Cristiani d’Oriente si sentono presi in giro, non vogliono dai loro fratelli elemosina, ma chiedono giustizia. Bisogna tornare a fare politica se si vuole evitare la scrizofenia di aiutare la gente da un parte e dall’altra massacrarla: l’uomo è cristiano quando va in Chiesa ma anche quando fa gli affari.

Sull’importanza delle relazioni e dell’incontro si è soffermata anche Suor Michela Marchetti, direttrice del centro “udite Agar”, centro antiviolenza di Crotone. Ci ha ricordato che non si può essere vicini sconosciuti, occorre perdere tempo per stare con le persone, per costruire gruppo per imparare a costruisce insieme. Da qui l’importanza, più che fare opere, di tentare di mettere insieme le persone e costruire percorsi che includono.
Ci ha raccontato poi la sua esperienza.
Il pomeriggio ha visto i convegnisti impegnati in diversi lavori di gruppi e dopo la celebrazione Eucaristica e la cena, uno spettacolo che ci ha fatto calare nella cultura del territorio con la musica, il canto e la danza tipica della Basilicata. La carità è cultura anche quando si festa, una festa che non negata soprattutto a chi ha poche occasione per ridere e gioire.

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