Di Giulia Dami e Simone Incicco

GROTTAMMARE – Sabato 16 febbraio, il Vicario don Patrizio Spina ha presieduto nella chiesa di Sant’Agostino di Grottammare, una celebrazione Eucaristica di ringraziamento per il quinto anniversario dell’Adorazione Eucaristica Perpetua. Ha concelebrato il parroco Don Giorgio Carini.
Una Chiesa gremita di fedeli, a testimonianza di un popolo il cui amore per il Signore, dopo cinque anni è vivo. Un popolo di laici che si è organizzato per adorare il Signore incessantemente, giorno e notte ad anticipare qui sulla terra la lode incessante che si svolge in Cielo.
Dopo aver portato i saluti del Vescovo Carlo Bresciani, fuori sede per motivi pastorali, don Patrizio ha affermato: “L’essere umano è un mendicante di felicità, lo sappiamo tutti molto bene anche se forse non sempre siamo in grado di confessarlo a noi stessi. Gesù lo sa, incontra la nostra domanda e risponde perché da questo desiderio profondo è segnato il nostro cuore.
Per quattro volte annuncia: beati voi, e significa: in piedi voi che piangete, avanti, in cammino, non lasciatevi cadere le braccia, siete la carovana di Dio. Nella Bibbia Dio conosce solo uomini che si mettono in cammino, che certamente possono fermarsi perché affaticati ma poi si rialzano e seguono il Signore verso terra nuova e cieli nuovi, verso un altro modo di essere liberi, cittadini di un regno che viene.
Gli uomini e le donne delle beatitudini sono coloro che hanno permesso alla persona di Gesù di abitare nelle proprie ferite per farle diventare feritoie attraverso le quali guardare e desiderare un mondo nuovo.
Beati voi, poveri! Certo, il pensiero dubita. Beati voi che avete fame, ma nessuna garanzia ci è data. Beati voi che ora piangete, e non sono lacrime di gioia, ma gocce di dolore. Beati quelli che vivono la ferita del disamore del mondo. Beati, perché? Perché povero è bello, perché è buona cosa soffrire?!?
No, ma per un altro motivo! E il motivo è: per la risposta di Dio.
La bella notizia è che Dio ha un debole per i deboli, li raccoglie dal fossato della vita, si prende cura di loro, fa avanzare la storia non con la forza, la ricchezza, la sazietà, ma attraverso seminagioni lenti ed invisibili di giustizia e condivisione, per raccolti di pace e lacrime asciugate. E ci saremmo aspettati: beati perché ci sarà un capovolgimento, una alternanza, perché i poveri diventeranno ricchi. No. Il progetto di Dio è più profondo e più delicato.

Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno, qui e adesso, perché avete più spazio per Dio, perché avete il cuore libero, al di là delle cose, affamato di un oltre, perché c’è più futuro in voi. I poveri sono il grembo dove è in gestazione il Regno di Dio, non una categoria assistenziale, ma il laboratorio dove si plasma una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani, una categoria generativa e rivelativa.
Beati i poveri, che non sono proprietari di nulla se non del cuore, e che non avendo cose da donare, fanno della propria vita fragile e semplice un dono, i quali sono al tempo stesso mano protesa che chiede, e mano tesa che dona, che tutto ricevono e tutto donano.
“È come albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo: le sue foglie non appassiscono e tutto quello che fa, riesce bene “: che bella questa espressione “dà frutto a suo tempo” … che abbiamo ascoltato nel Salmo responsoriale.
È invito ad avere pazienza, è consegnarsi fiduciosi a Colui che porterà a buon fine la semina. E il soggetto è “l’uomo che …nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte “. È il credente che sa di essere poca cosa ma di poter tutto in Colui che gli dà forza.
Ognuno di noi ha episodi, incontri e pensieri, assolutamente unici nell’universo e Dio vi entra in modo altrettanto unico ed originale. Insomma: esiste un copyright per la storia della salvezza di ciascuno di noi. Però una cosa è sicura: siamo tutti destinati ad essere quel vincitore che riceverà da Dio “… una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi la riceve” (Ap 2,17). Un nome nuovo che rappresenterà la nostra più autentica “essenza”; vittoria gioiosa, raggiunta attraverso l’incontro tra la creatura ed il suo Creatore. Un incontro intimo tra Dio e noi che nessun altro potrà mai copiare (né, tanto meno, giudicare).
Solo Lui e noi, infatti, conosciamo le variabili nascoste ed i misteriosi intrecci che hanno intessuto la nostra esistenza.
Una cosa, invece, è certa: ognuno di noi è destinato a vincere. Anzi: predestinato (Ef 1) a vincere, perché “tutto concorre al bene per coloro che amano Dio” (Rm 8, 28).
Vincere sul dolore di ieri, per farlo diventare la forza di domani. Vincere sulla paura del futuro, perché in ogni giornata, Gesù ci terrà la mano. Vincere su tutti coloro che ci dicono “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il maestro?”, per concentrarci su quel “Non temere, continua ad avere fede…” (Mc 5, 36).
Inoltre, se è vero quel che dice san Massimiliano Kolbe “Nelle opere divine nulla di grande nasce senza dolore”, possiamo smettere di farci spaventare dalla sofferenza.
Non è bella, non ci piace e nessuno la vuole (nemmeno Dio!), ma non sarà lei ad avere l’ultima parola. Dio è dalla parte della nostra felicità e ci vuole vincitori. Ecco perché ancora una volta risuona questa parola: BEATI!
I sorrisi più belli li ho sempre visti nelle vite più difficili: sono quelli di chi sa trasformare il dolore in forza: ho in mente ora il volto sereno e bello di un mio amico carissimo che è da tempo in ospedale. Reso fragile, debole ma con una forza che è capace di dare pace al cuore (mio) stanco e che è invito a rialzarsi perché del Signore ci si fida. Perché è questo mio amico che con accanto sua moglie continua a ripetermi che di Dio si fida, anche ora che è fragile e delicato. E ci si rialza, ci rialziamo perché vogliamo essere gli uomini e le donne delle Beatitudini.

Forse può sorprenderci il guai, nella seconda parte del Vangelo che abbiamo ascoltato. Ma Dio non maledice, Dio è incapace di augurare il male o di desiderarlo. Non si tratta di una minaccia, ma di un avvertimento: se ti riempi di cose, se sazi tutti gli appetiti, se cerchi applausi e il consenso facile, non sarai mai felice. I guai sono un lamento, anzi il compianto di Gesù su quelli che confondono superfluo ed essenziale, che sono pieni di sé, che aggrappandosi alle cose non lasciano spazio per l’eterno e per l’infinito.

Le beatitudini sono quindi per tutti noi la bella notizia che Dio regala vita a chi produce amore, sicuri anche che se uno si fa carico della felicità di qualcuno il Padre si fa carico della sua felicità, senza alcun dubbio.
Concludendo: “tutto ciò si impara lentamente, pazientemente, ascoltando e mettendosi in Silenzio davanti a Lui. In adorazione appunto.”

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