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Unione europea: da un’Africa sviluppata e stabile c’è solo da guadagnare

Gianni Borsa

“L’Africa non ha bisogno di carità, ma di un partenariato equo e leale. E noi europei ne abbiamo altrettanto bisogno”. Parole chiare, quelle del presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, pronunciate durante il Discorso sullo stato dell’Unione a Strasburgo il 12 settembre. Il vasto, inquieto, giovane e “ingombrante” continente, vicino di casa dell’Europa, da questa spremuto come un limone nel corso dei secoli, ha più che mai bisogno di pace e di democrazia, che non arriveranno con la bacchetta magica o con qualche assegno per aiuti umanitari, ma solo grazie a istruzione, crescita economica e sviluppo sociale. Del resto l’Europa – almeno quella parte di Europa che vuol ragionare – sa bene che da un’Africa sviluppata e stabile c’è solo da guadagnare, in ogni senso: meno turbolenze, violenze, guerre e terrorismo; raffreddamento dei flussi migratori; rafforzamento di un immenso e – per molti aspetti – ricco partner economico (ciò che la Cina ha compreso vent’anni fa).

Da qui si comprende l’ampio documento presentato dalla stessa Commissione Ue all’indomani del discorso di Juncker, volto a creare “una nuova alleanza tra l’Europa e l’Africa per gli investimenti sostenibili e l’occupazione”.

Con l’obiettivo (il miraggio?) di creare 10 milioni di posti di lavoro in Africa nei prossimi 5 anni. Un pacchetto di proposte, maturato da tempo anche grazie ai vertici di Malta e di Abidjan, che parte da investimenti e commerci per giungere a strade, scuola, sanità. Il commissario per la cooperazione internazionale e lo sviluppo, Neven Mimica, ha dichiarato: “Questa alleanza si prefigge di sbloccare gli investimenti privati e di valutare le enormi possibilità che possono offrire vantaggi tanto all’economia africana quanto a quella europea”. Vantaggi reciproci, è questa la novità, che passerebbero attraverso un’area di libero scambio, la mobilitazione di capitali pubblici e privati (con una innovativa combinazione di sovvenzioni e garanzie), la valorizzazione delle giovani energie africane (formazione), il rafforzamento del contesto imprenditoriale. Il tutto accompagnato dalla mobilitazione di un ingente tesoretto finanziario “come dimostra l’ambiziosa proposta per il prossimo Quadro finanziario pluriennale dell’Unione sui finanziamenti esterni, in cui l’Africa viene considerata una regione prioritaria”.

Colpiscono, nel documento dell’esecutivo Juncker, gli ottimistici, benché pur sempre insufficienti, dati previsionali.

Ai 10 milioni di posti di lavoro (in un continente che conta 1,2 miliardi di abitanti, per lo più in età lavorativa), si aggiungerebbero: 105mila posti da qui al 2027 in Erasmus+ per studenti e docenti universitari provenienti dall’Africa; formazione professionale per 750mila persone; accesso all’energia elettrica per 30 milioni di persone e imprese; nuove strade e infrastrutture di trasporto. Gli interessi statunitensi e cinesi stanno già facendo di più in varie regioni africane, ma da parte europea potrebbe essere un buon inizio. Anche perché, a differenza delle modalità di procedere di Washington e Pechino, l’Ue promette di muoversi con lo stile del partenariato, ovvero delle decisioni condivise e non imposte. In una terra come l’Africa, amaramente segnata dal peggior colonialismo, l’alleanza con l’Europa sarebbe dunque una novità. “L’alleanza – spiegano gli esperti di Bruxelles – terrà conto della diversità del continente africano e delle specificità di ciascun Paese”. La proposta della Commissione procede sulla giusta strada. Ora si tratta di capire se i governi dei Paesi Ue, i veri detentori delle decisioni in sede comunitaria, coglieranno l’opportunità oppure se, attraversati da miopi nazionalismi e da gretti sentimenti xenofobi, cederanno alle sirene anti-africane. Ripetendo tragici errori del passato che paghiamo ancora oggi.

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