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In Amoris laetitia la continuità, nel magistero della Chiesa

Giovanni M. Capetta

Terminato il commento all’inno di San Paolo, il Papa, in questo quarto capitolo di Amoris Laetitia invita gli sposi alla sfida di crescere continuamente nella carità coniugale. L’amore descritto nella Prima Lettera ai Corinzi è anche l’amore che scaturisce dal sacramento del matrimonio: “un’unione affettiva, spirituale e oblativa che però raccoglie in sé la tenerezza dell’amicizia e la passione erotica, benché sia in grado di sussistere anche quando i sentimenti e la passione si indebolissero” (AL 120). Concretamente l’unione sponsale dell’uomo e della donna è specchio dell’amore di Dio. “Il Matrimonio – scrive il Papa – è l’icona dell’amore di Dio per noi, Anche Dio, infatti, è comunione: le tre Persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo vivono da sempre e per sempre in unità perfetta” (AL 121) Il confronto con la Trinità potrebbe indurre a scoraggiarsi e a sentire un divario incolmabile fra il modello e la fragilità delle nostre relazioni, ma qui sta il mistero da contemplare e vivere! Gli sposi sono investiti dalla missione di “rendere visibile, a partire dalle cose semplici, ordinarie, l’amore con cui Cristo ama la sua Chiesa”. (ibid.). Beh, si dirà, dopo il modello trinitario, anche con quello dell’amore fra Cristo e la Chiesa appare enorme la distanza fra noi quaggiù e il Cielo, ma il Papa ci rasserena: “non si deve gettare sopra due persone limitate il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste fra Cristo e la sua Chiesa, perché il matrimonio come segno implica un processo dinamico che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio” (AL 122). Una precisazione fondamentale questa di Papa Francesco che, per altro, la desume da un pensiero di San Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica Familiaris consortio. C’è, dunque, continuità, nel magistero della Chiesa riguardo ad una pedagogia spirituale che – l’abbiamo ripetuto spesso – poggia sul principio dei piccoli passi possibili, ma con il respiro grande dell’eternità. L’amore coniugale, infatti, celebra il “per sempre”, incarna il desiderio insito nell’animo umano che l’amore come la vita non muoiano. Chiedete ad un giovane innamorato se desidera che quel sentimento finisca prima o poi, chiediamoci se quando ci siamo sposati abbiamo potuto contemplare una fine della nostra unione. “L’amore è eterno finché dura” dice un acido adagio, ma in realtà l’amore è eterno o non è amore, questo si potrebbe azzardare, senza chiudere né gli occhi, né il cuore di fronte ai tanti fallimenti matrimoniali che pure ci capita di vedere o vivere. L’indissolubilità, il “per sempre” dice la verità all’uomo e alla donna, eleva la vocazione matrimoniale senza correre il rischio di considerarla una scelta di minore perfezione rispetto a quella sacerdotale e religiosa e indica una via per vivere tutto nell’ottica di un dono prezioso ricevuto, l’amore di Dio, che per essere fecondo – non solo nella generazione dei figli – necessita di avere radici nel presente ma con la fiducia che i rami crescano oltre il nostro sguardo.

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