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DIOCESI – Abbiamo ricevuto in redazione questa lettera: “Salve. Ho una figlia che frequenta la scuola media. Durante l’ora di “Cittadinanza e Costituzione” la professoressa, parlando degli articoli 3, 7 e 8 della Costituzione si è avventurata in un discorso di tipo religioso e ha detto agli alunni che esiste un solo Dio, solo che noi uomini lo chiamiamo in modo diverso. Vorrei sapere se questa affermazione è corretta per un cattolico”.

Così ha risposto per noi il teologo Nicola Rosetti:
La prima cosa che mi sento di dire è che per qualsiasi dubbio o perplessità circa quello che avviene a scuola, è buona cosa rivolgersi sempre all’insegnante in un clima di collaborazione e dialogo costruttivo. In secondo luogo dobbiamo sempre più essere coscienti che viviamo in spazi dove essere cristiani non è la normalità ma l’eccezione, per cui non dobbiamo meravigliarci se attorno a noi si fanno spazio pensieri, gesti e comportamenti che sono molto distanti dai nostri. Questo può tanto più avvenire a scuola dove il principio della libertà di insegnamento è tutelato dall’articolo 33 della nostra Costituzione. Questo significa che dobbiamo prendere tutte le occasioni come questa, non come un attentato alla nostra fede e alle nostre tradizioni, ma come una sfida, una provocazione (nel senso più nobile di questi termini) alla nostra fede e alla nostra intelligenza.

Entrando nel merito della domanda, il pensiero espresso dall’insegnante (esiste un solo Dio, siamo noi che lo chiamiamo in modo diverso) è molto diffuso e risale storicamente al liberalismo ottocentesco. Il ragionamento più o meno è questo: tutte le religioni sono uguali perché tutte hanno dei ministri del culto, tutte hanno un testo sacro, tutte hanno delle preghiere, insomma, sono modi diversi di adorare l’unico Dio che noi chiamiamo in modo diverso. Questa visione è tanto diffusa quanto poco corrispondente alla verità delle cose. Infatti, se è vero ad esempio che tutte hanno un testo sacro, è altrettanto vero che i testi sacri di ogni religione differiscono sia nei contenuti sia nel posto e nell’importanza che i gli stessi testi sacri hanno per i fedeli stessi. Non si può ad esempio dire che la Bibbia ha per un cristiano lo stesso valore che ha il Corano per un musulmano. Infatti, mentre per i cristiani la Parola di Dio si è fatta carne in una persona, Gesù di Nazareth, per i musulmani la Parola di Dio si è codificata in un libro: con un gioco di parole si potrebbe dire che mentre per i cristiani il Verbo (cioè la parola di Dio) si è incarnata, per i musulmani il Verbo si è “incartato”. È evidente che si tratta di due visioni diverse che daranno vita a due modi diversi di considerare i testi sacri. Il ragionamento che abbiamo fatto per il testo sacro lo potremmo applicare ad altri aspetti della vita religiosa, ottenendo sempre lo stesso risultato e cioè che le religioni sono tutte diverse, perché sono modi diversi di concepire il mondo e la vita e il rapporto con l’Assoluto.

Possiamo fare ancora un altro esempio. Tutte le religioni hanno uno o più profeti, cioè uomini che si fanno portatori del messaggio di Dio e che indicano la via per andare verso di lui. I profeti indicano la verità. Nel cristianesimo avviene qualcosa di profondamente diverso: come messo in luce dal teologo Romano Guardini nel suo saggio L’essenza del cristianesimo, Cristo non indica la verità, ma si identifica con essa. È qualcosa di inaudito e al tempo stesso asimmetrico rispetto a tutte le precedenti esperienze religiose poiché Gesù non è un ambasciatore del re, ma è il principe: egli appartiene al mondo di Dio, in lui il cielo e la terra si toccano, come in nessun altro uomo è mai stato possibile.

Riprendiamo le parole della professoressa di lettere: “Esiste un solo Dio, solo che noi lo chiamiamo in modo diverso”. Quali sarebbero questi modi diversi? Cristo, Allah, Buddha? Nessuno di questi è il nome di un Dio! Cristo significa “unto”, Allah non è il nome del Dio dei musulmani; ma semplicemente vuol dire “il Dio” in arabo e Buddha significa “illuminato”. Solo YHWH è il nome del Dio degli ebrei. Come si può vedere, quanto sostenuto dalla professoressa, non solo non corrisponde alla realtà, ma è anche molto approssimativo.

Ciò che le religioni hanno in comune è la domanda di senso che esse si pongono, dunque ad essere uguali sono le domande, non le risposte. Eliminare le differenze in nome dell’egualitarismo non è certo un buon servizio al dialogo fra le religioni. Il dialogo fra le religioni, oggi più importante che mai per promuovere la pace, non deve essere l’applicazione dei nostri schemi mentali alla realtà. Solo mettendoci in ascolto della realtà e della sua complessità potremo costruire un autentico dialogo inter-religioso. Solo se ci riconosciamo appartenenti ad un’unica famiglia umana, articolata nelle sue diversità, potremo camminare insieme”.

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