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Siria, dopo Bruxelles. Avsi: “Siamo ancora in emergenza, non si parla di ricostruzione”

Di Daniele Rocchi

Un nuovo e rafforzato impegno umanitario e finanziario da parte della comunità internazionale per sostenere il popolo siriano, i Paesi limitrofi e le comunità più colpite dal conflitto, nella consapevolezza che solo una soluzione politica inclusiva, globale, che soddisfi le legittime aspirazioni del popolo siriano per la dignità e la libertà, potrà garantire la fine del conflitto, prevenire l’escalation regionale e un ritorno dell’Isis, e permettere così un futuro pacifico e prospero per la Siria e la regione. E come misure concrete di aiuto i Paesi partecipanti si sono impegnati a versare 3,5 miliardi di € per il 2018 e altri 2,7 per il 2019-2020.

Federica Mogherini

È questo l’esito della seconda conferenza di Bruxelles su “Sostenere il futuro della Siria e della regione” che si è svolta il 24 e 25 aprile, ospitata dall’Ue e co-presieduta dalle Nazioni Unite. Il summit ha visto la partecipazione di 86 delegazioni, tra cui 57 Stati, 10 rappresentanti delle organizzazioni regionali e delle istituzioni finanziarie internazionali, 19 agenzie dell’Onu. Tra gli invitati anche 250 Ong e, come spiegato da Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera, centinaia di persone in rappresentanza della società civile siriana. E proprio al dialogo con le Ong, delle quali 15 dalla Siria e 72 dai tre principali Paesi che ospitano i rifugiati, Giordania, Libano e Turchia, è stato dedicato il primo giorno dei lavori.

A tracciare al Sir un bilancio di questa giornata è Lucia Castelli, rappresentante della Fondazione Avsi, unica Ong italiana presente a Bruxelles. Avsi è impegnata in oltre 30 Paesi e in particolare in Siria, Libano e Giordania dove realizza progetti di cooperazione nel campo educativo e della formazione professionale. Tra questi “Back to the Future”, progetto educativo finanziato dal fondo europeo “Madad” che punta a sostenere oltre 26mila bambini in Libano e Giordania.

Libano: campo sfollati (Foto Avsi)

In Siria la Fondazione porta avanti la campagna, sostenuta anche dalla Cei, “Ospedali aperti” promossa dal nunzio apostolico, card. Mario Zenari, per dare assistenza sanitaria gratuita alle fasce più povere della popolazione siriana. “A Bruxelles – spiega Castelli – le Ong hanno cercato di sbloccare lo stallo dei lavori e dei progetti.

Nonostante tutti siano d’accordo nel sostenere una fine negoziata e politica della guerra, sul terreno la situazione continua ad essere drammatica. I numeri lo testimoniano con chiarezza: sono 13 milioni i siriani, tra sfollati interni e quelli riparati in gran parte in Turchia, Libano e Giordania, che hanno bisogno di aiuto. E senza il supporto della società civile e delle Ong è impossibile farcela.

Tutti siamo stati concordi nel dire che

la pace sarà possibile solo se riusciremo a guardarci come persone umane

e non come appartenenti ad uno Stato o ad una fazione politica o religiosa”.

Proposte concrete. Dalle organizzazioni umanitarie sono giunte proposte concrete utili a sostenere la loro azione. Due i punti evidenziati. “Il primo – dichiara Castelli – è relativo ai progetti che vengono definiti annualmente e che in questo teatro di guerra hanno il fiato troppo corto. La richiesta avanzata è stata quella di adottare progetti pluriennali. In questo senso abbiamo avuto rassicurazioni e circa un terzo dei fondi andranno, pertanto, ai progetti 2019-2020”. Secondo punto messo in evidenza dalle Ong è “avere dei programmi di azioni integrate, capaci di mettere insieme interventi nel campo dell’istruzione, della sanità, della formazione professionale e della protezione. Un simile approccio permette di dare risposte migliori ai bisogni delle persone, in particolare ai giovani e ai bambini. Questi ultimi soffrono molto la mancanza di diritti come testimoniano emergenze quali il lavoro minorile e matrimoni precoci. Si tratta di fenomeni che sono anche le conseguenze delle difficoltà economiche della famiglia di provenienza che vanno affrontate con risposte precise ed efficaci”.

Nessuna ricostruzione. Ma le criticità del conflitto siriano non si fermano qui.

“Dopo 8 anni siamo ancora in una fase di emergenza e di ricostruzione non si parla”,

denuncia la rappresentante dell’Avsi. “Ricostruzione fa rima con ritorno in Siria dei rifugiati e – ricorda Castelli – sono molti i siriani che hanno paura di rientrare in patria per mancanza di sicurezza e di stabilità politica. In Libano, per esempio, stiamo assistendo a ondate di ritorno di rifugiati”. La situazione sul terreno, dunque, rimane estremamente complessa. “Alla Conferenza abbiamo ricordato che

ci sono delle zone del Paese che sono state liberate e tornate nelle mani del Governo, e dove si potrebbe cominciare a pensare ad aiutare la gente a ricostruire. Per fare questo è necessario permettere ai siriani e alle agenzie umanitarie di lavorare in queste aree. Sarebbe un primo passo verso la ricostruzione del Paese, un segnale importante che potrebbe indurre molti a pensare al ritorno”.

Il Governo siriano e la Sarc (Syrian Arab Red Crescent), l’organismo che controlla e coordina il lavoro umanitario all’interno del Paese, dovrebbero garantire un sempre maggiore accesso agli aiuti e permettere alle agenzie di operare in aree sicure. Il lavoro sarebbe facilitato se si riuscissero ad avere dei corridoi umanitari. La popolazione non desidera altro. È necessario aiutare gli sfollati interni prima che vadano via dalla Siria. Sarebbe un passo importante anche per alleggerire la situazione nei Paesi ospitanti”.

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