La violenza viene dopo e mi riferisco ai fatti di Macerata quando nella mattinata del 3 febbraio un giovane ha aperto il fuoco passando con l’auto contro alcune persone di colore. Dalle notizie di cronaca sembra ormai certo il collegamento con la triste vicenda dell’omicidio di Pamela.

Si tratta di violenza e di follia perché è così che reputiamo un gesto di tal genere e folle consideriamo chi lo ha commesso. Eppure, prima di tutto questo, prima della follia e della violenza c’è altro! C’è un sentimento razzista. E’ necessario e indispensabile ammetterlo!

Fa male vedere la bandiera della nostra Italia, nella quale “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, sventolare sulle spalle del folle ragazzo, contro tali principi.

Fa ancora più male ammettere che questa Italia post cattolica abbia sentimenti razzisti. Eppure è necessario e indispensabile ammetterlo!

Fa male anche ascoltare in TV la cronaca di una giovane ragazza italiana, Pamela, uccisa (a quanto pare) da persone di colore. Fa anche rabbia! Certo! Uno Stato che non è più capace di far sentire al sicuro i propri cittadini che stato è? Uno Stato che dice di voler fare accoglienza, ma nei fatti accoglie senza saperlo fare, che stato è? Sicuramente non quello immaginato dai padri costituenti. Però non riuscirò mai a fare di tutta l’erba un fascio e pensare che chi è diverso da me sia necessariamente un pericolo per me e per gli altri. Vorrei giustizia per Pamela, ma non riuscirei mai a tradurre la parola giustizia in un’azione personale e soprattutto nella parola vendetta.

Eppure, conosco i commenti dei signor dell'”io non sono razzista ma…” e di quelli del “sono razzista sì, ma non vado ad ammazzare i negri”. Li conosco perché sono più presenti loro che tutti gli altri, soprattutto su facebook.

Ma dov’è il tarlo? Il tarlo è nel sillogismo insinuatosi nella nostra società: razzismo uguale violenza. Cioè come dire: se non c’è violenza non si può parlare di razzismo.

Questo è un errore di fondo che porta a sottovalutare scritte sui muri, post, discorsi televisivi o da bar, articoli di giornale, espressioni politiche, atteggiamenti e modi di fare che sono anche nostri. Comprese le espressioni più semplici e banali. Probabilmente non siamo più capaci di trasmettere amore, mentre usiamo parole o adottiamo atteggiamenti che sono razzisti e che ci rendono razzisti (seppur non violenti).

Che c’entra se io dico al bar “questa gente deve starsene a casa loro“, oppure cambio strada perché sto per incrociare un extracomunitario, oppure non mi faccio visitare da un dottore di colore, se poi un pazzo spara alla folla? Sembrano parole o gesti da nulla. No?

Eppure c’entra perché quel pazzo ha vissuto in un clima che fomenta odio e sentimenti razzisti. E dov’è che ha vissuto? In Italia, accanto a te, cattolico, che un giorno al bar, o in famiglia, o al lavoro, hai detto banalmente “io non sono razzista, ma…”

Ecco, la prossima volta, prima di dirlo ricordiamoci che non siamo più capaci di trasmettere amore e che la violenza viene dopo… o… che dopo viene la violenza!

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