“Difendere i nostri popoli dalla colonizzazione ideologica” che cancella i più deboli, “siano essi  indigeni, afroamericani, meticci, campesinos o coloro che vivono nelle periferie”. È l’appello centrale dell’omelia della Messa per la festa liturgica della Beata Vergine Maria di Guadalupe, celebrata questa sera dal Papa nella basilica di San Pietro. Francesco, parlando in spagnolo, si è soffermato sulla “dialettica di fecondità-sterilità” che caratterizza l’episodio evangelico della Visitazione, e in particolare sulla figura di Elisabetta, cugina di Maria, emarginata dal suo popolo che considerava la sterilità “come un castigo divino frutto del proprio peccato o di quello del suo sposo”. Questa accusa di “sterilità”, la denuncia del Papa, “finisce per paralizzare tutta la vita”, e può “manifestarsi molte volte e in molte forme, ogniqualvolta una persona sente sulla propria carne la vergogna di essere stigmatizzata o di sentirsi poca cosa”. La stessa cosa è accaduta a Juan Diego, ha fatto notare il Papa: quando gli è apparsa Maria, si rivolge a lei dicendo “io non valgo nulla”. Elisabetta “è la prima a riconoscere e a benedire Maria” e la prima ad aver “sperimentato nella propria vita, nella sua carne, il compimento della promessa di Dio”, ha commentato Francesco. La stessa cosa accade all’indio a cui è apparsa la Madonna di Guadalupe: “È a lui, e a nessun altro, che si rivela l’immagine della Vergine”, l’altra frase riferita a Juan Diego. “In questa dialettica tra fecondità e sterilità – ha commentato il Papa – scorgiamo la ricchezza e la diversità culturale dei nostri popoli dell’America Latina e dei Caraibi. Essa è segno della grande ricchezza che siamo invitati non solo a coltivare, specialmente in questo nostro tempo, ma anche a difendere coraggiosamente da ogni intento ‘omogeneizzatore’ che impone – attraverso slogan attraenti – un’unica maniera di pensare, di essere, di sentire, di vivere e che fa considerare inutile o sterile ogni eredità dei nostri antenati; che finisce per far sentire, specialmente i nostri giovani, poca cosa perché appartengono a questa o a quella cultura”.

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