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Nascono gli “Open day in parrocchia”

Di Massimo Sala

Negli scorsi giorni, don Emilio Pastormerlo, direttore del settimanale diocesano vigevanese “L’Araldo Lomellino”, ha lanciato attraverso il social network Facebook la proposta di un “open day” in parrocchia, un’idea già sperimentata in altre diocesi d’Italia per far conoscere le varie attività parrocchiali o per promuovere chiese ed edifici di culto a livello turistico.

Don Emilio, il tuo post su Facebook sull’open day delle parrocchie ha fatto il botto…quasi 200 “mi piace” ed è stato ripreso da altri giornali locali…ci puoi spiegare meglio questa idea?
Indubbiamente un “post” su Facebook sa più di provocazione che di progetto. Certo non una provocazione fine a se stessa, ma che vuole dire qualcosa e soprattutto instaurare un dibattito. L’idea mi è venuta vedendo proprio su Facebook tanti post che pubblicizzano “open day” di vario tipo. Eravamo fin qui abituati agli “open day” delle scuole, ma ormai ho visto che li organizzano aziende, wedding planer, centri commerciali e via di seguito. A dire il vero, guardando poi in rete, ho scoperto che già diverse parrocchie anche di altre diocesi fanno gli “open day” organizzandoli nei modi diversi. Un “Open day” delle parrocchie non avrà certamente la finalità di cercare clienti, ma soprattutto di “aprirsi” alla gente, facendo conoscere le diverse realtà che animano la vita di una parrocchia.

Superare magari certe diffidenze o distacchi…
Esattamente. Noto sempre più, anche quando viene una coppia di fidanzati per chiedere di sposarsi oppure genitori per far battezzare i propri figli che per tanta gente la parrocchia assume ancora troppo un significato burocratico: “quali documenti ci vogliono…come si fa il corso prematrimoniale…chi può fare il padrino…” queste sono le domande frequenti, che in realtà costituiscono aspetti non prioritari per la preparazione ad un sacramento. La parrocchia non è un ufficio comunale, non è fatta di certificati e di timbri, non è dispensatrice di permessi…ma è una comunità, che aggrega diverse persone, differenti realtà ed esperienze, che compie un cammino….Immagino, ad esempio, che il primo approccio con una coppia che chiede di sposarsi non debba essere con il sacerdote, ma proprio con altre coppie di fidanzati o di sposi, che raccontano il loro cammino, la loro esperienza. Un “open day”, ad esempio, dovrebbe far conoscere il “gruppo famiglie”, che non mettano subito davanti agli sposi moduli da compilare, ma esperienze di vita…

Come si può andare oltre questa tentazione della burocratizzazione?
Secondo me l’”open day” è utile anzitutto alla stessa parrocchia prima che ai possibili “utenti”. In questo caso, infatti, la comunità parrocchiale sarà costretta ad interrogarsi su cosa è capace di testimoniare e di proporre alla gente per le cose che si fanno, magari riconoscendo che spesso in parrocchia si vivono solo tanti piccoli “orticelli” più che una ampia e disinteressata testimonianza di vita e di servizio. La comunità parrocchiale è così stimolata a capire le cose che davvero servono alla gente e ad aprirsi agli altri, nella consapevolezza che il vero “servizio” alla parrocchia si compie facendola conoscere in tutti i suoi aspetti e soprattutto nel compito dell’annuncio del vangelo.

Allora, come organizzeresti un “open day” parrocchiale?
Bè, non ho e credo non debba esserci uno schema precostituito, ma debba porsi soprattutto come un “invito” all’incontro, un incontro reciproco, per conoscersi e per conoscere. Si potrebbero fare anche degli “open day” mirati. Magari uno per gli sposi, non certo sulla falsariga dei moderni wedding planer, ma come accennavo prima facendo parlare gli sposi con gli sposi…oppure uno per i genitori, perché altri genitori spieghino cosa vuol dire educare i figli cristianamente…o ancora per il canto, per i servizi caritativi e…ci sono tantissime realtà “parrocchiali” da far conoscere alla gente, andando oltre steccati o pregiudizi, che possono essere spesso reciproci.

Una priorità da mostrare nell’“open day”?
Certamente l’“open day” più significativo dovrebbe essere quello della carità, ma anche questo, lo sappiamo, non può essere vissuto per un giorno solo, ma per ogni giorno dell’anno, perché ogni giorno ci sono i poveri, le persone sole, gli ammalati…e lì più che “aspettare” una comunità deve “far visita” alle persone che hanno bisogno. Quello dell’attenzione ai poveri non è semplicemente da mettere in vetrina, ma da vivere come impegno nella quotidianità Certamente un “open day” dovrà mettere in risalto le diverse attività dei gruppi caritativi presenti in parrocchia, aiutando a “vedere” i poveri accanto a noi. Una idea simile, forse, indica anche percorsi nuovi per le attività pastorali… Più che percorsi parlerei di “atteggiamenti”. Non abbiamo “prodotti” da vendere, ma esperienze da raccontare, stili di vita da vivere e da condividere, scelte e convinzioni da testimoniare…al di là di tutti i progetti a tavolino, di cui per altro, anche l’attività pastorale ha bisogno, il vero “open day”, secondo me, si vive testimoniando e incontrando la gente…la gente ha tante domande da fare al sacerdote e ai credenti…intercettiamo queste domande per strada, sui posti di lavoro, nei luoghi soliti della vita di tutti i giorni…gli “open day” dei nostri cuori.

Redazione: