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Puigdemont a Bruxelles, “un copione” ambiguo, difficile da decifrare

Javier Rubio

La presenza dell’ormai destituito presidente catalano Carles Puigdemont in Belgio, martedì 31 ottobre, ha risvegliato nuovi timori nell’opinione pubblica. Le domande sono molte: che ci sta a fare lì? Cerca forse nelle istituzioni europee un supporto per la causa indipendentista? Ma si sa che, sia l’Ue sia i singoli Paesi, si sono ormai pronunciati in favore delle misure applicate dal governo centrale per risolvere questo “affare interno” della politica spagnola. Minuto per minuto i principali giornali pubblicano sui loro siti web cosa accade intorno a questo polemico personaggio, così come sui consiglieri del governo catalano, anche loro decaduti, con l’obbligo di presentarsi tra il 2 e il 3 novembre ai magistrati della “Audenzia Nazionale”.

Un copione ben articolato. Per diversi media nazionali e internazionali, la presenza martedì scorso di Puigdemont e sette dei suoi consiglieri al Club internazionale della stampa di Bruxelles è stata uno dei tanti “spettacoli” cui il Paese è ormai abituato. Sorprende pure una certa ambiguità nelle sue manovre. Da una parte si affida ai servizi di un avvocato belga Paul Bekaert, allo scopo di continuare a difendere le sue tesi indipendentiste, dall’altra dice che concorrerà alle elezioni del 21 dicembre, annunciate dal governo centrale come punto finale del periodo aperto con l’attivazione del articolo 155 della Costituzione per riportare la normalità politica e sociale in Catalogna. Forse a tante persone, ignare della storia di Catalogna e i suoi rapporti col resto della Spagna, viene da chiedersi come si è arrivati a questo sorprendente punto di un copione che sembra cinematografico, con delle sfumature che puntano verso quella post-verità oggi facilitata da un abile uso dei media. Si sa infatti che il governo catalano, ora destituito, ha fatto ricorso ad una ditta nordamericana per diffondere adeguatamente l’andamento del “processo” indipendentista. Forse l’internazionalizzazione del conflitto, con l’arrivo di Puigdement a Bruxelles, è una delle tappe del copione.

La storia dell’indipendentismo. L’indipendentismo catalano è di lunga data e ha originato fiumi d’inchiostro. Non è la prima volta che la Catalogna tenta l’indipendenza. L’ultimo episodio storico al riguardo risale a 1934, quando Lluís Companys proclamò lo Stato catalano dentro la Repubblica federale spagnola. Allora, come oggi, il governo centrale intervenne e l’indipendenza durò appena un giorno. Poi venne il colpo militare e la dittatura di Franco, che certamente non fece alcuna concessione alla pluralità politica, e ancora di meno ai movimenti separatisti. E per ultimo arriviamo alla Costituzione del 1978: un testo complesso, risultato di interminabili negoziazioni per tenere dentro tutti, dal quale nasce l’attuale mappa politica della Spagna. Un Paese composto da 17 “comunità autonome” più due “città autonome” nella costa nordafricana, ognuna col suo “governo autonomo”, giuridicamente uguali ma diverse per motivi vari, legati al percorso storico di ognuna. Tale configurazione prevede l’assunzione progressiva nel tempo di competenze trasmesse dal governo centrale. Questo contesto però non ha sodisfatto l’indipendentismo, sia quello catalano sia quello basco.

Le confuse ragioni dell’indipendentismo. Oltre alle note ragioni di conflitto tra il governo centrale e le comunità autonome (alcune con più competenze, altre con meno), resta sempre la difficoltà di capire il perché del “voler andarsene”, che in questi confusi giorni ha fatto anche risvegliare quello che alcuni chiamano il “nazionalismo spagnolo”. Da quando la Spagna ha vinto il mondiale di calcio nel 2010, non si erano viste tante bandiere spagnole appese alle finestre di ogni città. Dall’altro lato, i catalani indipendentisti non riescono a capire perché devono restare incatenati a una identità spagnola che non sentono propria.

Una regione divisa. Il conflitto è catalano, e poi spagnolo. Dopo decenni ricevendo immigrati dal resto della Spagna (soprattutto mano d’opera), la società catalana è divisa praticamente a metà tra una sensibilità indipendentista e un’altra unionista. La composizione del Parlamento catalano uscito dalle elezioni del 2015 lo dimostra: 72 deputati del “blocco” indipendentista di fronte a 63 non indipendentisti. Ma si sa che la rappresentazione parlamentare non sempre è un riflesso esatto della realtà sociale. I sistemi elettorali non sono perfetti. Così accade che, complessivamente, dietro ogni deputato indipendentista ci sono 29.891 votanti, mentre dietro ogni unionista si sono 31.757. Vediamo cosa succederà il 21 dicembre.

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