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Verso la Settimana sociale di Cagliari: le “buone pratiche”

Alberto Baviera

Relazioni con le persone e legami con il territorio. Ma anche rispetto dell’ambiente e investimento sull’innovazione. Sono alcune delle buone idee e buone pratiche attuate da diverse aziende italiane per far fronte ai problemi del lavoro e dell’occupazione. A volte si tratta di piccole esperienze, altre di realtà consolidate negli anni e che continuano a portare frutto. Contributi e modelli offerti alla Chiesa italiana nel cammino di avvicinamento alla prossima Settimana sociale, in programma a Cagliari dal 26 al 29 ottobre sul tema “Il lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo e solidale”.

Partecipazione. “Coinvolgimento e partecipazione nelle varie azioni aziendali e culturali”. È questo, secondo la vicepresidente Fulvia Mantovani, il segreto del successo di Iris Bio, cooperativa fondata nel 1978 a Calvatone (Cr) da un gruppo di giovani che hanno creduto nel metodo di coltivazione “da agricoltura biologica”. Da questa realtà, nel 2010, è nata Fondazione Iris che propone “attività culturali che sono ben radicate nel territorio” attraverso cui “vogliamo promuovere aspetti fondamentali: il rispetto dell’ambiente e della persona”. Negli anni, anche attraverso “una proprietà collettiva”, spiega Mantovani, “abbiamo dato vita ad una filiera italiana molto importante affiancandola all’economia solidale”. C’è, innanzitutto, “il rispetto dell’agricoltore, cui dev’essere riconosciuta la dignità lavorativa”. E questo si lega “al prezzo equo del suo prodotto agricolo”. “Secondo noi – aggiunge – il lavoro è parte integrante essenziale di una persona, qualunque sia il suo impiego”. Per questo, “Fondazione Iris si adopera per incontri settimanali in cui spiegare cosa sono le produzioni agricole biologiche e perché l’agricoltore deve riprendere dignità lavorativa”. Il tutto si sposa “con il rispetto dell’ambiente”. “Le nostre produzioni – riconosce – sono sicuramente minori rispetto ad un’agricoltura intensiva ma non per questo sono meno significative. Infatti riusciamo a rimanere sul mercato, continuando a crescere”. “Recentemente – conclude – abbiamo aperto un pastificio e in quella sede apriremo un centro culturale e un asilo”.

Territorio. “Il nostro territorio ha ricchezze – umane, culturali, paesaggistiche e di qualità della vita – che danno alle persone che qui ci vivono una marcia in più per competere”. Ne è profondamente convinto Sandro Paradisi, titolare della Paradisi srl, torneria meccanica di Jesi (An) che proprio quest’anno compie 60 anni. “Produciamo componentistica di precisione destinata principalmente all’industria dell’elettrodomestico e dell’automobile”, spiega, aggiungendo che “abbiamo sempre cercato di attuare una politica attiva nei confronti del territorio per far sì che la collettività percepisca l’azienda non come una negatività ma come una ricchezza che va conosciuta”. Non a caso, “quando le nostre aziende committenti hanno fatto la scelta di delocalizzare le proprie produzioni all’estero, abbiamo preferito non seguirle”. Ma il legame con il territorio significa anche partnership con l’Istituto tecnico di Jesi, “uno dei nostri principali fornitori – assicura Paradisi – perché ci dà il valore più importante che abbiamo, cioè le persone che lavorano con noi”. Ma poi c’è l’impegno, con altri imprenditori, in diversi progetti: come quelli per il recupero della tavola del Perugino “Madonna col Bambino e i Santi Giovanni Battista, Ludovico, Francesco, Pietro, Paolo e Giacomo maggiore” conservata a Senigallia, o per la realizzazione di una scuola a Pieve Torina, “Comune dell’entroterra marchigiano nel quale il terremoto del 30 ottobre scorso – ricorda – ha lesionato il 93% degli edifici”. “D’accordo con il sindaco – precisa – sarà una scuola che diventerà anche centro civico per la città. Sarà terminata entro settembre e finanziata interamente da privati”.

Capitale umano. “Partendo dal nulla, costruire il nostro ‘know-how’ è stato possibile grazie alla disponibilità di tutti i nostri collaboratori che sostanzialmente si sono formati in azienda. Questo significa dare un grande valore al capitale umano, che è parte integrante dell’azienda, e alle relazioni”. Così Florindo Rubbettino, presidente della Rubbettino Editore di Soveria Mannelli (Cz), spiega il valore aggiunto di questa casa editrice fondata dal padre Rosario nel 1972 con l’ambizione – spiega il figlio – “di dimostrare che anche qui, nell’entroterra della Calabria, si poteva fare impresa e cultura, generare occupazione e lavoro”. “Operiamo nel campo dell’editoria libraria, periodica e digitale, produciamo libri che escono con il nostro marchio ma, essendo anche una realtà industriale con la parte produttiva del processo (stampa, rilegatura), anche per molti altri editori italiani”. “Per altri committenti – aggiunge – realizziamo anche prodotti cartacei non editoriali”. Rubbettino impiega oggi circa 90 persone tra le varie divisioni, con un mercato soprattutto nazionale con qualche piccola ma significativa propensione all’internazionalizzazione. “Per i 50 anni della nostra attività – rivela – vorremo realizzare un grande museo d’impresa, un luogo non solo dove si racconta la storia ma che sia vivo di produzione e sperimentazione. In sostanzia un museo-lab, che narri la cultura del lavoro e sia ponte verso innovazione e futuro. Vorremmo che i protagonisti fossero le persone: quelle che lavorano con noi, quelle in pensione e i ragazzi delle scuole, per creare un corto circuito tra chi sta per entrare nel mondo del lavoro, chi c’è e chi ci è stato. A tenerli insieme sarà la capacità di trasmissione dei valori del saper fare e della comunità dell’azienda”.

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