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Codice di condotta per le Ong: Stilli (Aoi), “già lo applicano ma è mancato il confronto”. I punti critici

Di Patrizia Caiffa

L’Unione europea ha dato il via libera, ammorbidendo alcune regole, al Codice di condotta per le Ong che salvano vite umane in mare. Sono stati eliminati vocaboli come “obbligo” e “divieto” e sostituiti con “si impegna”. In settimana il Codice dovrebbe essere discusso con le Ong interessate, che finora non sono state direttamente coinvolte. È critica con la mancanza di concertazione Silvia Stilli, portavoce dell’Aoi (l’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale), elencando altri punti che potrebbero essere problematici – tra cui il divieto di trasbordo ad una nave più grande – e altri che invece corrispondono a quanto le Ong già fanno regolarmente. Tutto il mondo dell’umanitario è pronto al confronto con le istituzioni per lavorare meglio sul tema dei migranti e dell’accoglienza. O a replicare se non avverrà.

Le Ong hanno una settimana di tempo per firmare o meno il Codice di condotta. Cosa succederà?
Bisogna aspettare e vedere cosa emergerà dall’incontro. Abbiamo una relazione forte con Msf, Moas, Sos Mediterranée e Save the children e sappiamo che vogliono una interlocuzione per discutere le problematicità del Codice. Non sono maldisposti, perché è un Codice di condotta che già applicano.

Alcuni punti sono assodati, è probabile che firmeranno il Codice perché già li praticano.

Ad esempio il fatto che non si può andare verso le acque libiche. La Commissione del Senato ha accertato che questo è avvenuto tre volte e in tutti e tre i casi è stata informata la Guardia costiera. Quindi porre l’accento sul fatto che non hanno voglia di rispondere della loro autonomia è sbagliatissimo. Le Ong hanno rapporti molto sereni con i sindaci e le associazioni delle zone di sbarco. È tutto molto gonfiato.

Cos’è che invece non vi convince del Codice di condotta?
Innanzitutto una questione di metodo fondamentale.

Le Ong si sono viste recapitare il Codice di condotta senza essere consultate prima.

Era stato stabilito, sia nei vertici di Tallin, sia a Berlino, che ci sarebbe stato prima un momento di confronto tra Guardia costiera e Ong che fanno salvataggi in mare, per poi formulare la proposta e portarla in Unione europea, ma la convocazione è stata disdetta. È stato contraddetto un impegno preso in sede europea. Se non c’è un confronto e non si sentono le rispettive ragioni o convergenze è ovvio che si parte subito con il piede sbagliato. È stata montata una campagna di sospetto mettendo l’accento sulla vicenda Ong, puntando l’attenzione principale su di loro piuttosto che sulla questione complessiva, molto più articolata. Poi l’aver messo l’accento sui bilanci è come dire che non c’è trasparenza, ma non è vero: tutte le Ong che hanno ricevuto o ricevono fondi pubblici o dalle fondazioni sono obbligate a pubblicare i loro bilanci sui siti. Quindi cosa si vuole verificare? Porre l’accento su questo significa far credere all’opinione pubblica che non c’è abbastanza trasparenza. Questo è orrendo.

Cosa vi preoccupa di più?

Il divieto di trasbordo da una nave all’altra.

Nei momenti di grande emergenza ci sono navi più grandi che possono accogliere migranti da quelle più piccole, le quali possono poi facilmente ripartire a salvare altre vite umane. Se questa possibilità

viene annullata o fortemente limitata viene messa in discussione la capacità di salvare più vite umane possibili.

Siccome l’imperativo principale, per le Ong, è essere nella capacità di salvare vite umane, tutti i deterrenti per bloccare la loro operatività non funzioneranno, non sono sostenibili.

Saranno previste sanzioni per chi non si adegua al Codice…
Questa è la cosa più pesante e le Ong vogliono capire cosa significa. È evidente che si vuole alimentare un clima non favorevole nei confronti di chi salva vite umane. C’è una responsabilità delle istituzioni nell’essere arrivati a questo punto.

C’è il rischio che alcune Ong non firmeranno?
Certo, già le Ong grandi si stanno svenando per salvare vite umane. Poi se si mettono gli aspetti punitivi, i bastoni fra le ruote, è possibile che qualcuna non ce la farà a reggere. Allora troveremo la stessa situazione di quando fu chiuso Mare Nostrum, ossia quando Frontex non riuscì a rispondere e ci furono centinaia di morti in mare. Allora mi domando: ma

questo governo vuole chiudere il mandato con qualche tragedia epocale perché non c’è il supporto delle navi umanitarie?

In cambio di cosa? Dell’aiuto dell’Europa? Io sono molto preoccupata, e non vorrei che accada quanto abbiamo già visto con la chiusura forzata di Mare Nostrum.

Cosa farete?
Per rispetto di chi è immerso nella situazione aspettiamo di vedere le loro reazioni. Tre settimane fa, riunendo circa 500 associazioni, abbiamo proposto ai ministri Minniti e Alfano un incontro per costruire insieme un’accoglienza sostenibile ma non è arrivata alcuna risposta. Il Forum del terzo settore aveva chiesto un incontro urgente al ministro Minniti prima dell’incontro di Berlino, nessuno ha risposto. Ora bisogna muoversi di nuovo insieme e chiedere immediatamente, come avvenne per la crisi nella ex-Jugoslavia, l’istituzione di

un Tavolo di coordinamento presso la presidenza del Consiglio dei ministri su tutta la filiera, dai salvataggi all’accoglienza,

che comprenda gli enti locali, la Guardia costiera, il ministero degli Interni, degli Esteri e tutta la società civile. Anche per chiarire che non siamo d’accordo su come viene impostato lo slogan di alcuni sindaci “Aiutiamoli a casa loro” dando i soldi alla cooperazione. Sono due cose diverse: uno riguarda l’aspetto umanitario della mobilità, l’altro è un dovere etico, politico, economico, di risposta all’Agenda 2030.

Se questa richiesta non viene accolta siete pronti alla protesta?
Credo proprio di sì. Ora dobbiamo aspettare di vedere cosa uscirà dall’incontro di questa settimana sul Codice di condotta e capire. Però poi un’uscita pubblica la faremo sicuramente.

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