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Ecuador, a un anno dal terremoto: un progetto di cooperazione

Irene Argentiero

Era il 16 aprile 2016, quando alle 18.58 la terra ha iniziato a tremare. Una lunga scossa di 7,8 gradi Richter rade al suolo villaggi e città nella provincia di Esmeraldas, nei pressi della costa ecuadoriana, 170 km a ovest della capitale Quito.


Don Walter Coronel, 35 anni, è un sacerdote diocesano incardinato nella diocesi di Portoviejo, città che gli ha dato i natali. Quella sera, lui il terremoto non lo ha sentito. Si trovava al di là della catena andina, a Aguhano, nella foresta amazzonica nel vicariato apostolico del Napo, dove era stato mandato come missionario fidei donum. “Quella sera stessa ricevetti una telefonata dal mio vescovo, mons. Lorenzo Voltolini, che mi chiedeva di tornare subito in città”.

Portoviejo non esisteva più

Lo spettacolo che di lì a poche ore, si prospettò di fronte agli occhi di don Coronel era a dir poco devastante. Quella città che lui conosceva bene, perché ci era nato e cresciuto, non esisteva più. Le case erano ridotte a cumuli di macerie. Le strade irriconoscibili, avvolte da nuvole di polvere e calcinacci.

“A subire i danni più gravi è stato il centro storico di Portoviejo, dove c’era anche la casa di mia mamma – racconta -. Il terremoto ha fatto crollare un pezzo delle due torri della cattedrale, la volta centrale, le pareti. I danni strutturali sono stati calcolati nel 70% della costruzione”. Ma ad essere distrutta non è stata solo la cattedrale. “Nell’arcidiocesi ci sono 92 parrocchie ecclesiastiche (su una superficie di (20mila km2 con popolazione di 1,500.000 abitanti) – spiega don Coronel – 52 sono state distrutte e di queste 25 sono crollate totalmente al momento del terremoto”.

I primi aiuti e la preoccupazione per le zone rurali

La prima cosa che è stata fatta è stata quella di portare aiuto alle popolazioni. “Molti si sono subito attivati per aiutarci – ricorda don Coronel – papa Francesco ci ha fatto arrivare il suo aiuto attraverso il nunzio apostolico Giacomo Guido Ottonello Pastorino”. E poi ci sono state la Caritas e altre associazioni, che hanno messo a disposizione cibo, tende e mezzi per l’igiene personale.

“Non ci arrivavano notizie chiare dalle popolazioni rurali – aggiunge don Walter – e non sapevamo quanti morti, feriti c’erano, perché anche alcune strade di collegamento erano interrotte e quindi il governo parla di circa 800 morti ma in realtà sono oltre mille (perché molti non sono registrati) se non di più”. A Pedernales, nel nord della provincia di Manabì, epicentro del sisma, si è registrato il maggior numero di vittime e di case distrutte.

A un anno di distanza si lavora per ricominciare a vivere

A dodici mesi di distanza dal sisma che ha mietuto migliaia di vittime, la gente di Portoviejo cerca di rimettersi in piedi e ricominciare a vivere.

Ed è per questo che alcuni giorni fa don Coronel ha fatto tappa anche a Bolzano, dove ha avviato un progetto di cooperazione allo sviluppo con l’ufficio missionario diocesano.

Don Coronel – che è stato incaricato insieme ad altri sacerdoti, di seguire le iniziative di ricostruzione – è stato inviato da mons. Voltolini in Italia e Germania per vedere se è possibile avviare progetti a sostegno della popolazione colpita dal terremoto.

Piccole croci colorate in “avorio vegetale”

Uno di questi progetti coinvolge proprio l’ufficio missionario altoatesino.

Un progetto che parte dalla croce.

Saranno, infatti, gli abitanti di Sosete, un centro abitato che sorge nei pressi di Portoviejo a realizzare le 50mila crocette in tagua (avorio vegetale) che verranno distribuite a luglio in occasione della Giornata di San Cristoforo, iniziativa con la quale l’ufficio missionario promuove la raccolta di fondi da destinare all’acquisto di mezzi di trasporto per i missionari nel mondo.

 

“L’ufficio missionario diocesano ci ha chiesto di realizzare le crocette per la prossima giornata di San Cristoforo – racconta don Coronel – e diverse famiglie sono già all’opera da settimane”. Nella diocesi dove opera don Walter le famiglie sono molto numerose (ci sono da 4 a 7 figli per nucleo familiare, se non di più) ed è quanto mai indispensabile rimettere in moto l’economia. “Le crocette, – spiega don Coronel – vengono fatte dalla popolazione di Sosete, vicino a Portoviejo. Alcune famiglie hanno fatto una sorta di cooperativa. Questo progetto ci permette ora di aiutare queste famiglie a riavviare la loro economia e ricostruire le case che sono state distrutte nel terremoto”. Attualmente sono una ventina le famiglie impegnate direttamente nel progetto. Un po’ alla volta, appena pronte, vengono inviate in Italia, a Bolzano.

Come nascono le crocette?

I semi di tagua (frutti di una palma, la Phytelephas macrocarpa che cresce nella foresta pluviale del Sud America) vengono raccolti ed essiccati e quindi tagliati a fette. “Ci vuole tanta precisione e attenzione – spiega don Walter – per intagliare le croci. Viene usato una sorta di seghetto. Anche il minimo errore può rovinare in maniera irreparabile il pezzo”.

Alcune crocette vengono tinte, altre, invece, vengono lasciate “al naturale” e così si possono notare le caratteristiche del guscio esterno del seme.

Viene quindi praticato il foro per far passare il cordino. “Per fare una crocetta – spiega don Coronel – una persona esperta ci mette una ventina di minuti”.

Una Pasqua per fare memoria e per guardare al futuro

Domenica scorsa in migliaia hanno affollato le strade del centro di Portoviejo per partecipare alla messa di Pasqua presieduta da mons. Eduardo Statillo, vescovo ausiliare di Portoviejo. Una marea di persone vestite di bianco, molte con il volto rigato dalle lacrime, che hanno ricordato le vittime del terremoto, con gli occhi e il cuore rivolti al futuro, nella luce del Risorto. Hanno preparato dei cartelli, sui quali hanno scritto “il 16 aprile ci ha insegnato ad amare, a collaborare e ad accettare”.

 

La luce del Risorto ha illuminato anche i volti delle migliaia di persone che si sono riunite per le vie di Pedernales (epicentro del sisma dello scorso anno) dove la veglia di Pasqua è stata presieduta dall’arcivescovo di Portoviejo, mons. Lorenzo Voltolini.

Tra i fedeli anche il presidente della repubblica Rafael Correa, che nel prendere la parola ha incoraggiato la gente di Pedernales a rimboccarsi le maniche e a guardare con speranza al futuro. Un discorso, quello del presidente ecuadoregno, concluso dall’abbraccio con mons. Voltolini.

La gente di Portoviejo, così come quella di Pedernales e dalle altre località distrutte dal terremoto di un anno fa, desidera rialzarsi e tornare a sperare. E lo ha iniziato a fare intagliando piccole crocette in tagua. Perché, nella luce del Risorto, dalla croce si rinasce.

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