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Venezuela: mons. Padrón, “pasti condivisi e azioni pacifiche contro dittatura e golpe di Stato”

Di Patrizia Caiffa

Non si ferma in Venezuela la repressione governativa contro la popolazione che manifesta per la gravissima crisi politica ed economica in corso. Un Paese affamato e stremato dove è in atto una sorta di “golpe di Stato”. La Corte suprema ha infatti limitato i poteri del Parlamento (dove l’opposizione è maggioranza), una disposizione invalidata da una procuratrice generale. Dall’inizio delle proteste ad oggi sono stati uccisi 5 manifestanti, tra cui un quattordicenne. Sono state ferite 57 persone e centinaia incarcerate. Una escalation di violenza e difficoltà che preoccupa da sempre la Chiesa venezuelana, che si sta attrezzando con iniziative concrete e coraggiose: ce ne parla monsignor Diego Padrón Sanchez, arcivescovo di Cumanà e presidente della Conferenza episcopale del Venezuela, indicando la strada di una maggiore “pressione internazionale e appoggio alla popolazione”.

Aumentano gli scontri e la repressione: cosa dice la Chiesa?
La Chiesa è molto preoccupata per il destino del Paese, e non solo per questi ultimi eventi, che sono solo delle conseguenze. Il problema fondamentale è la “rottura del filo democratico costituzionale”, come ha dichiarato la Fiscalìa nacional. In altre parole

significa dittatura o golpe di Stato,

propiziato dallo stesso governo e dalla Corte suprema di giustizia. È stato considerato come un golpe di Stato giudiziario. Questo porta alla concentrazione di tutti i poteri in mano all’esecutivo, insieme a una forte repressione contro ogni forma di manifestazione e dissenso.

Tutti coloro che non sono d’accordo con il sistema sono perseguitati, incarcerati, rischiano di morire.

In poco tempo c’è stata una escalation di violenza, morti e feriti, dovuta al governo: invece di cercare di aprirsi ed ascoltare il popolo assume una posizione molto dura pur di restare al potere. Il 1° aprile abbiamo pubblicato, come vescovi, un documento molto sereno e riflessivo. Stiamo accompagnando le vittime. Ieri ho incontrato

i gruppi per i diritti umani: hanno molta paura perché sono considerati dal governo come terroristi, ci hanno chiesto consigli e aiuti.

In strada ci sono anche “colectivos”, gruppi armati pro-governativi che sparano contro i manifestanti…
Sì i “colectivos” sono sempre attivi, difendono e proteggono il governo che li finanzia. Il problema è che alcuni sono armati. Il governo per intimorire chi manifesta ha dislocato

cecchini sugli edifici pubblici.

È un’immagine estremamente negativa, incute molta paura e indica chiaramente l’atteggiamento del governo.

Ci sono stati anche problemi durante una messa a Caracas il 12 aprile.
Sì, è una grande celebrazione con la processione della statua di Gesù Nazareno. È una devozione nazionale molto sentita e partecipata dai venezuelani. Il cardinale Jorge Urosa Savino, arcivescovo di Caracas, ha presieduto la messa a mezzogiorno. La celebrazione è stata interrotta da un gruppo organizzato, con canti e slogan dall’inizio alla fine. Le autorità presenti e i militari non sono intervenuti. Solo alla fine si sono avvicinati al cardinale per salutarlo ma avrebbero potuto evitare l’interruzione della messa. È stata una mancanza di rispetto alla libertà religiosa. Grazie a Dio, il cardinale non è stato attaccato personalmente, però è un segnale.

Gira su Twitter la foto di una statua del Nazareno ricoperta di escrementi a Valencia. Un oltraggio o un gesto di propaganda contro la Chiesa?
No, è un falso. Ciò che è sicuro, è invece un furto: sono entrati dei ladri in chiesa e hanno rubato. Però l’immagine del Cristo non è stata toccata, non ha avuto alcun danno. È un gesto di propaganda sporca.

Come state aiutando la popolazione in questa fase così difficile?
Con due azioni fondamentali: stiamo promuovendo nelle comunità il “pasto fraterno”, si chiama

la “Olla solidaria” (pentola solidale). Le comunità molto povere si riuniscono per condividere il cibo,

ognuno porta qualcosa. Questa iniziativa ha avuto molto successo perché crea un grande senso di riconciliazione e di solidarietà. L’iniziativa si sta estendendo in tutto il Paese. È un modo molto concreto per superare la fame, perché c’è tantissima gente che non ha nulla da mangiare. In questo modo si può mangiare insieme agli altri. L’altra azione è di accompagnamento del popolo che protesta contro la situazione politica creata dal governo, come il disconoscimento dell’Assemblea nazionale e il dominio del Tribunale supremo su tutti gli altri poteri, eccetera. Le decisioni del Tribunale supremo sono totalmente anticostituzionali e illegali e per questo ci sono molte manifestazioni, non solo a Caracas ma in tutto il Paese. La Chiesa sta accompagnando il popolo che soffre di più, invitandolo a partecipare sempre in maniera pacifica e legale.

Viste le proteste il governo Maduro sta perdendo sempre più consenso…
Sì, moltissimo. Tre giorni fa la gente ha lanciato uova al presidente Maduro durante un’uscita pubblica. Questo dimostra che i toni dello scontro sono molto forti. La Chiesa ha rifiutato questa condotta: non la condividiamo e non vogliamo che succeda. Possiamo avere idee diverse ma bisogna mantenere il rispetto nei confronti della persona.

Secondo lei, Maduro farà di tutto per non andarsene?
Sì, sono convinto che il governo abbia ancora molto potere: ha molto più denaro di qualsiasi altra istituzione, tutti i poteri nelle mani, compreso quello giudiziario. E può contare su una parte della popolazione armata, i “colectivos” e le milizie. Ha i mezzi per mantenersi al potere per molto tempo. Dall’altro lato, il governo non ha intenzione di aprire la strada elettorale e continua a posticipare ancora le elezioni. Però

ogni giorno aumenta la consapevolezza e la partecipazione della popolazione.

La società civile sta prendendo delle contromisure e si sta organizzando per partecipare più attivamente.

La comunità internazionale può fare di più?
Sì. Negli ultimi giorni abbiamo visto una reazione molto positiva a livello internazionale, crediamo sia questa la via:

la pressione internazionale su un governo che si è trasformato in una dittatura e l’appoggio al popolo,

in modo che la pressione esterna sia in sintonia con la resistenza interna e con l’atteggiamento interno di rifiuto di queste modalità del governo.

Dal Papa e dalla nunziatura che segnali arrivano?
Sappiamo che il Papa, il cardinale segretario di Sato, Pietro Parolin, e mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati della Santa Sede, sono costantemente informati. C’è molta preoccupazione. Bisogna sperare che il governo definisca la sua posizione, capire se ritratterà la decisione o se non la cambierà definitivamente. In questo momento credo che non ci siano le condizioni per aprire un nuovo tavolo di dialogo come è stato tentato lo scorso anno. Però sappiamo che la Santa Sede è sempre disposta a collaborare perché in Venezuela la situazione si risolva. Il nunzio ha molta fiducia ed è molto attento a ciò di cui abbiamo bisogno.

Non avete paura di controlli e intimidazioni?
Sì il governo controlla tutti, alcuni con il telefono o personalmente. Ma

dobbiamo sfidare il controllo con grande coraggio e libertà.

La Chiesa lo sta facendo, parlando con molta libertà. C’è anche la paura, certo, ma bisogna andare avanti.

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