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Monache Clarisse: “Dio ci viene incontro”

Fonte Korazym

DIOCESI – Lectio delle Monache Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto sulle letture di ieri, domenica 19 marzo.

«Dammi da bere»: sono le prime parole del dialogo tra Gesù e la donna samaritana al pozzo di Giacobbe. Gesù ha sete: sicuramente, come leggiamo nel Vangelo, è «affaticato per il viaggio».
Ma qual è il viaggio che sta compiendo?
Gesù fa fatica, si adopera, cioè, mette tutto se stesso nel “viaggio” alla ricerca dell’uomo.
Gesù cammina incontro all’uomo perché vuole entrare in relazione con noi, desidera entrare a far parte della nostra vita così come desidera che ciascuno di noi entri a far parte della sua vita, di Lui stesso.
«Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice “Dammi da bere”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva».
E’ la stessa acqua di vita che Dio fa sgorgare abbondante per il popolo di Israele in cammino nel deserto, un popolo che soffre e mormora: «Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?».
Il Signore ascolta ancora una volta il grido di Israele e dice a Mosè: «Ecco, io starò davanti a te sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà». L’Oreb, il monte dell’incontro faccia a faccia con Dio, dell’alleanza tra Dio e il suo popolo. Da quel monte sgorga l’acqua viva, sgorga la vita: è il ripartire, ogni volta, dall’incontro fondante della nostra vita, ripartire dalla «roccia della nostra salvezza», come dice il salmista, tornare alla scoperta del Dio del roveto ardente, lo stesso Dio che sta accompagnando ora, e sta accompagnando noi, ora, nel deserto, là dove non sembrano esserci punti di riferimento.
«Signore – gli dice la donna – dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete…»: per avere quest’acqua occorre tirar fuori la verità, di noi stessi, di quello che siamo, senza timore o paura, uscir fuori dalle nostre sicurezze come dalle nostre insicurezze e riconoscere «l’ora – ed è questa» in cui come «veri adoratori», adoreremo «il Padre in spirito e verità».
Ci rapporteremo, cioè, a Dio non come a colui che compie miracoli, chiuso in un tempio, come a colui che “deve” salvarci, ma al Dio che ci viene incontro, ora ed ogni volta, per affiancarci nel nostro quotidiano, giorno dopo giorno, fatica dopo fatica, incontro dopo incontro.
C’è un Dio che ci viene incontro perché vuole rispondere definitivamente al desiderio di altro che abita la sete dell’uomo. E lo fa “rimettendo” davanti a ciascuno di noi la propria storia, così come fa con la donna samaritana, aiutandoci a “raccontarla” nella verità…un passo alla volta.
Alla fine del racconto evangelico…rimane solo un’anfora, lasciata lì, perché d’ora innanzi, non sarà più utilizzata. La donna, lasciatasi riempire dall’amore che Dio ha riversato nel suo cuore, sarà lei stessa sorgente di acqua, per una vita che, passa attraverso di noi, ne facciamo esperienza e viene “regalata” a chi ci è accanto.
Ed è questa una «speranza [che] non delude», la certezza che ci fa gridare «Signore, tu sei veramente il salvatore del mondo; dammi dell’acqua viva, perché io non abbia più sete».

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