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Le donne e “Il diritto di contare”

Massimo Giraldi

Si è parlato molto negli ultimi mesi di Hidden Figures, che in Italia esce con il titolo Il diritto di contare, firmato dal regista Theodore “Ted” Melfi. Il film si è imposto all’attenzione degli USA e nel panorama internazionale, ottenendo nomination ai Golden Globe e agli Academy Awards 2017, perché ha riportato alla ribalta una vicenda emblematica, la storia vera della scienziata afroamericana Katherine Johnson che insieme ad altre due colleghe si affermarono nell’America del dopoguerra nel campo della ricerca alla NASA, tra pressioni e forti pregiudizi, perché donne e per di più nere. Katherine Johnson è tuttora vivente, oggi novantottenne, celebrata anche alla cerimonia degli 89. Premi Oscar, presente per accompagnare il film che esce ora in Italia in concomitanza con l’8 marzo, Festa della donna.

Tre donne alla conquista della Nasa. Ispirato dunque a una vicenda vera, il film Il diritto di contare (Hidden Figures) prende le mosse dal libro omonimo di Margot Lee Shetterly (in Italia edito da HarperCollins). Siamo negli Stati Uniti d’America all’inizio degli anni Cinquanta, la Nasa – all’epoca denominata Naca, National Advisory Committee for Aeronautics – accetta di assumere anche scienziati donne, comprese le donne di colore. Così tre giovani donne afroamericane iniziano le attività di ricerca: Katherine G. Johnson (Taraji P. Henson), Dorothy Vaughn (Octavia Spencer) e Mary Jackson (Janelle Monáe). Il lavoro si rivela da subito complesso, non solamente per i ritmi quotidiani, ma in particolare per la continua tensione che regna negli uffici. L’ambiente è prettamente maschile, per lo più sono uomini bianchi, pertanto le tre giovani professioniste di colore vengono viste con sospetto e poca simpatia. A questo si aggiunge il clima di intolleranza razziale del periodo, esplicitato anche dalla differenza dei bagni, divisi non solo per sesso (uomini-donne), ma anche per colore della pelle (bianchi-neri). A capo della struttura troviamo Al Harrison (Kevin Costner), che mantiene una posizione di scetticismo se non di pura ostilità verso le ragazze. Quando però inizierà a capire il valore professionale delle tre donne, abbandonerà progressivamente ogni reticenza, aiutandole a riscattarsi.
Al suo secondo lungometraggio – nel 2014 aveva diretto St. Vincent –, Ted Melfi porta sullo schermo, con il genere della commedia, uno spaccato sociale degli Stati Uniti anni Cinquanta e Sessanta, mostrando nello specifico il ruolo della donna nella società. Melfi evidenzia le insidie che venivano riservate alle donne, soprattutto se nere, costruendo anche un trascinante racconto di affermazione sia professionale che personale. Atmosfera e battute vivaci che danno ritmo al film, opera che si rivela un prodotto del tutto godibile. Sono da evidenziare delle ingenuità e delle semplificazioni, che rischiano di danneggiare l’approfondimento del film, di renderlo un po’ prevedibile e convenzionale. La storia però tiene, grazie all’ottimo lavoro degli attori, delle tre protagoniste Octavia Spencer (Premio Oscar per The Help), Taraji P. Henson e Janelle Monáe, nonché il sempre bravo Kevin Costener. Nel complesso il film è adatto a un pubblico ampio, certamente familiare, una buona proposta anche per la Festa della donna, uscendo l’8 marzo in sala, capace di mostrare il valore e il coraggio delle donne che hanno fatto la Storia, superando tabù e resistenze sociali. Una proposta utile alla comunità tutta. Dal punto di vista pastorale, è da valutare come consigliabile e problematico.

Ritratti di donne esemplari sul grande schermo. Il diritto di contare di Ted Melfi è solo l’ultimo titolo di un ricca proposta cinematografica sulla figura della donna, nello specifico su ritratti di vita reale. Da recuperare, anche come approfondimento legato alla Festa della donna, sono i biopic Joy (205) di David O. Russell, sulla storia di Joy Mangano inventrice del Miracle Mop oppure Woman in Gold (2015) di Simon Curtis, la straordinaria vicenda di Maria Altman, ebrea austriaca, che ha lottato per veder riconosciuta la memoria della propria famiglia durante il nazifascismo. Ancora, Suffragette (2015) di Sarah Gavron e Tracks. Attraverso il deserto (2013) di John Curran, la grande avventura geografica-esistenziale di Robyn Devidson. Ultimo, Marie Heurtin: Dal buio alla luce (2014) di Jean-Pierre Améris, dove troviamo la figura di Suor Marguerite (Isabelle Carré), capace di aiutare una giovane sorda e cieca, Marie Heurtin, nella Francia di fine Ottocento, quando nessuno credeva possibile trovare una forma di contatto con la ragazza.

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