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Rapporto Oxfam e Forum di Davos: contro le disuguaglianze un’economia per l’uomo

Fabio G. Angelini

Il Forum economico di Davos non ha fornito risposte convincenti sul tema delle disuguaglianze. È emersa tutt’al più la consapevolezza sui rischi a cui andiamo incontro, sulle derive populistiche che gettano ombra sul futuro delle democrazie occidentali, ma poco più.
L’unico davvero in grado di aggredire il problema alla sua radice antropologica è stato, ancora una volta, Francesco. Il messaggio che il Papa continua a mandare in tutto il mondo – ci ricorda il card. Parolin in un’intervista a “la Repubblica” – è l’auspicio per

un’economia a servizio dell’uomo.

Ci sarebbe da interrogarsi molto su questa espressione e, soprattutto, da riflettere sul suo significato profondo che richiama sia ad una certa visione della persona che ad un forte pragmatismo nell’azione di governo.
Se, come emerge dal Rapporto Oxfam 2017 – “Un’economia per il 99%” – otto persone possiedono la stessa ricchezza della metà più povera dell’umanità, allora il problema sta nel modo di intendere i processi economici, le loro finalità e il ruolo stesso delle istituzioni. Il problema è, dunque, antropologico:

la diretta conseguenza di un relativismo imperante che finisce per soggettivizzare l’esistenza degradando l’uomo a strumento del mercato piuttosto che finalità ultima dei processi economici, in una prospettiva assolutistica e ideologica che tende a negare l’esistenza di qualsiasi cosa d’altro al di fuori del mercato stesso e della logica dello scambio per equivalenti.

La mercificazione dell’esistenza, l’alienazione, il materialismo consumistico, l’oblio dei valori spirituali, segnano pesantemente le nostre società e, in tal modo, caratterizzano il nostro sistema economico capitalistico. In questo contesto, il benessere si riduce a semplice abbondanza di beni materiali, rinunciando così all’ideale di una “vita buona” dove i beni materiali sono ordinati ad un’esistenza degna dell’uomo e non viceversa.
Se prima il conflitto era tra capitalismo e collettivismo, oggi il medesimo scontro si gioca all’interno dello stesso modello capitalistico. Non si tratta di mettere in discussione il capitalismo in sé, né di auspicare un modello diverso da quello dell’economia libera bensì, di contestare il ruolo che in esso è attribuito alla persona.
Nell’enciclica Centesimus Annus, Giovanni Paolo II risponde all’interrogativo su quale sia il sistema economico in linea con la dottrina sociale della Chiesa affermando che se per

“capitalismo si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di ‘economia d’impresa’, o di ‘economia di mercato’, o semplicemente di ‘economia libera’”.

Per essere a servizio dell’uomo, impedendogli di distruggere tutti i valori, assoggettandoli a quello economico, il capitalismo deve essere sostenuto e inquadrato da un robusto insieme di istituzioni politiche, culturali e religiose.
Ed è questo la seconda faccia della stessa medaglia. Al relativismo etico che caratterizza la nostra cultura fanno eco istituzioni politiche ed economiche estrattive, a loro volta fondate su una visione della persona strumento piuttosto che fine.

La risposta alle disuguaglianze – ed è questo il filo rosso che lega gli ultimi tre pontificati – sta, invece, proprio nella costruzione di una cornice istituzionale inclusiva, in grado di fare da argine contro il relativismo etico che è alla base dello scivolamento del sistema capitalismo verso forme di sfruttamento della persona che ne ledono la dignità.

Essendo la risposta di tipo istituzionale, essa richiede un forte pragmatismo e un orizzonte ideale in grado di dargli stabilità e profondità.

I continui richiami di Francesco, in qualità di autorità morale al servizio dell’umanità, sono una fonte di ispirazione. Essi, tuttavia, richiedono una responsabile presa in carico da parte dei laici, capace di trasformarla in azione concreta sul fronte politico ed istituzionale. Sebbene, infatti, la dottrina sociale cristiana non sia un programma di partito, essa rappresenta un orizzonte ideale all’interno del quale possono ritrovarsi tutte le forze interessate a contribuire al bene comune.
Con il pragmatismo che caratterizza l’approccio dei cattolici ai problemi sociali e alla partecipazione alla vita pubblica, lo sforzo per un capitalismo a misura d’uomo, passa attraverso

un forte investimento sulla scuola e sulla formazione; una tassazione progressiva, capace di riconoscere la funzione sociale della famiglia e di prevedere sgravi in funzione del numero dei componenti; la valorizzazione e il coinvolgimento dei corpi sociali intermedi nell’erogazione dei servizi pubblici; una politica economica tesa a difendere livelli adeguati di occupazione, promuovendo interventi pubblici conformi; e un sistema economico inclusivo, capace di aumentare la produttività del lavoro umano e di favorire la mobilità sociale.

Tuttavia, poiché la radice del problema delle disuguaglianze è il relativismo che, a sua volta, è alla base di un certo capitalismo, come ci ha insegnato Benedetto XVI, per vincere la sfida è necessario far emergere una classe dirigente capace di incarnare, come testimoni fedeli e credibili, il principio di centralità della persona declinandolo poi in cornici istituzionali più inclusive, capaci di supportare ed incoraggiare il dinamismo della società civile, anziché servirsene quale strumento per il dominio dell’uomo sull’uomo.

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